Abbiamo incontrato per voi Kyle Lucia, ballerino di origini italiane , in tournee in Germania con la compagnia “Rock the Ballet”.
“Rock the ballet” compagnia di danza creata da Rasta Thomas e Adrienne Canterna stravolge il significato di “Bad”: i ragazzi non sono cattivi, assolutamente fantastici.
L’idea è semplice e geniale allo stesso tempo: I ballerini si muovono sulle note di canzoni rock e pop con sullo sfondo delle videoproiezioni eccezionali. È uno show a 360° in cui musica, ballo e video sono perfettamente abbinati e integrati: diventa una festa per tutti in cui non hanno altro desiderio che ballare.
A farne parte, da quest’anno, anche Kyle Lucia. Nato in new Jersey, si è avvicinato al mondo della danza da giovanissimo con lezioni di danza classica, step, jazz, moderno, lirico e moderno per poi specializzarsi in HipHop e ballo contemporaneo. È stato al “Broadway Dance center”, a “In the Spotlight” e da “Steps on Boardway”. Nel 2009 è stato nominato “Senior Male Dancer of the Year” nel corso del concorso Tremaine, ottenendo en 5 borse di studio. Prima di unirsi a “Rock the Ballet” ha coreografato e ballato nei video del cantante Garek.
Kyle, sei statunitense di origini italiane. Da quale parte dell’Italia è arrivata la tua famiglia?
Per l’anagrafe sono una bella composizione di migrazione. Mia mamma è irlandese/tedesca e mio papà Italiano. Sono un americano che è al 50% italiano. La mia famiglia è arrivata via nave, dal lato paterno è originaria del Sud Italia. I nonni, di cui mi è rimasta solo la nonna, venivano da Napoli e a Borgia, un paese della Calabria. Visto che in famiglia non si è mai parlato italiano (cosa che mi dispiace tanto perché avrei voluto essere in grado di parlare italiano) a parte il mio cognome italianeggiante non sapevo molto delle mie origini italiane. Poi a scuola ci diedero un progetto da fare sulle origini della nostra famiglia ed io ho potuto chiedere ai mia nonni tutte le informazioni. Vorrei vedere le mie nonne più spesso ma con il lavoro che mi porta in giro per il mondo non è facile rimanere in contatto continuo, anche se cerco di non lasciar passare mesi tra le telefonate. Vorrei però dire che, pur non parlando italiano, mi sento italiano. È un qualcosa che non so spiegare, che è dentro di me: ho il desiderio di conoscere i posti da cui proveniva la mia famiglia e spero, un giorno o l’altro, di riuscire a esibirmi anche in Italia. E, se non è troppo tardi, vorrei anche imparare l’italiano: mi piace il suono della lingua. Avrei voluto impararla da piccolo, ma in casa si parlava solo americano. Sono giovane e ho ancora tanto tempo per imparare.
Cosa significa per te “ballare”?
Cosa significa per me? È la mia vita. Già da quanto ero piccolo sapevo di voler ballare. Penso di aver iniziato a ballare quando avevo 4 anni, così almeno mi racconta mia madre: mi ha detto che a qualsiasi festa andassimo io mi catapultavo in pista e ballavo le mie coreografie. Ho iniziato a prendere lezioni di danza classica e poi danza jazz. Ho poi fatto un pausa per fare sport, quando avevo sui 7-9 anni, ma poi sono ritornato al ballo. Mi ricordo che una scuola di ballo venne alla nostra scuola per uno spettacolo. Ero così affascinato da quello che avevo visto da andare dall’insegnante e dirgli di darmi il numero di telefono perché volevo ballare con il suo gruppo. Per un bambino di 4 elementare a avevo le idee chiare su quello che volevo fare: ballare.
La tua famiglia ti ha appoggiato nella tua scelta di ballare?
Assolutamente. Io ho sempre fatto quello che mi andava di fare. Non dico che i miei genitori non abbiano avuto un’influenza sulle mie decisioni, ma sono stati sempre intelligenti e lasciarmi prendere le mie decisioni. Il ballo è la mia vita, amo ballare… e loro l’hanno capito. Ovunque sono ballo e la gente mi conosce per questo: ballare in continuazione.
Come mai hai deciso di unirti a Rock the Ballet?
Durante una convention ho conosciuto un ballerino che faceva parte dei “Bad Boys of Dance”. Quando mi ha visto ballare mi ha consigliato di fare le audizioni per il gruppo perché, secondo lui sarai stato perfetto per il gruppo. Così ho inviato a Rasta un’email con il link al mio canale Youtube e sono stato invitato alle audizioni. Ho fatto le audizioni lo stesso giorno del mio attuale compagno di stanza ed è andata bene. Ovviamente la cosa mi ha mandato in brodo di giuggiole: il mio “primo” ingaggio in una compagnia di ballo e poi direttamente con “Rock the Ballet”. Non avrei potuto aspettarmi di meglio. Non è però tutto rose e fiori. Il nostro compito è quello di riuscire a trasmettere emozioni con il nostro balletto facendo sembrare tutto facile. Ma facile non è: richiede, come ogni lavoro, un duro allenamento, una precisione e una capacità di interazione con gli altri ballerini. Per me, in questo gruppo, si è aggiunta una sfida ulteriore: sorridere. Non che io sia un tipo triste, anzi, ma nel mio repertorio dovevo sempre essere il tipo tosto, quello che faceva il duro. Ora, bisogna fare il simpatico, l’affascinante… e devo dire che fa piacere. Sto crescendo con questo gruppo composto da persone così diverse tra loro per carattere e stili di ballo.
Questa compagnia ha sfornato alcuni dei più grandi ballerini, per cui poterne far parte è veramente un sogno che diventa realtà. È veramente un onore farne parte. Sono ancora all’inizio visto che mi sono aggiunto da poco. Vienna, Berlino, Amburgo sono città molto belle e molto affascinanti.
Quali sono le tue impressioni dell’Europa?
L’Europa è semplicemente magnifica. Mi piace poter scoprire realtà che per me erano finora. Sai, un ballerino ha sempre un piano di riserva, nel caso in cui il ballo non dovesse andare. Il mio ero quello di diventare un architetto e, devo dire, dal punto di vista architettonico l’Europa è semplicemente una miniera perché permette dimostra un estro creativo e un miscuglio di stili che non è possibile trovare negli Stati Uniti. Vienna, Amburgo e Berlino sono stupende… e so che in Italia è ancora più bello. Devo assolutamente andarci e vedere la mia “patria”.
I tuoi progetti per il futuro?
Rock the Ballet è il mio progetto. Voglio farne parte per almeno un paio di anni per migliorare me stesso e scoprire quali sono i limiti ancora da superare. Devo però ammettere che, in futuro, non mi dispiacerebbe passare dietro le scene, nel senso che mi piacerebbe lavorare di più nella coreografia. Pe rora lo sto facendo poco, ma ritengo che il processo creativo di un momento di danza sia una delle cose che possa darmi tante soddisfazioni.
Elisa Cutullè