Flauti magici silenzioni

 

Il flauto magico (K 620; titolo originale in tedesco Die Zauberflöte) è un Singspiel in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart.  Un capolavoro che dal 1791 continua ad essere in cartellone in moltissimi teatri a livello mondiale, sia per i personaggi che per l’aria «Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen», la difficile aria, rinomata per la difficoltà della sua estensione  che si focalizza sul registro sopraacuto di soprano.

Diversi gli adattamenti, sia a livello di messa in scena che a livello interpretativo il che rende difficile essere innovativi.

Ma non per la messa in scena alla Deutsche Opera m Rhein di Düsseldorf. Suzanne Andrade, Paul Barritt  e Barrie Kosky hanno creato un mondo fiabesco in una quarta dimensione. Del resto, la messa in scena multimediale di Barry Kosky è un prdotto dell’unione creativa con il gruppo di artisti binattici “1927”. Dal 2012 questa interpretazione è conosciuta in diverse parti del mondo e, grazie, alla collaborazione con la Komische Oper Berlin, la Deutsche Opera m Rhein di Düsseldorf l’avrà in cartellone fino al 2 febbraio 2024.

A cosa bisogna essere preparati? Scompaiono le parti parlate. Gli artisti cantano le arie, mentre il parlato viene affidato alle didascalie (stile film muto) o alle proiezioni multimediali con elementi che trascendono il tempo passando dallo stile film muto al pop anni 60.

È richiesta attenzione assoluta, per essere in grado di cogliere i piccoli dettagli, i richiami e riferimenti nascosti, anche perché il parlato diventa visivo.

Si passa da una trasposizione 2D con elementi anni 30 a richiami di Tim Burton e combattimenti di arti marziali. L’elemento umano rimane spesso solo la testa, mentre il corpo diventa fluido, impalpabile e malleabile. Una giocosità che diventa seriosamente seria e che fonde continuamente gli elementi tra realtà e fantasia.

Ironia alla società nelle tre dame che sono Klatsch, Tratsch, Schwatz (tre termini quasi equivalenti per pettegolezzo) o trasformazioni animalesche di Gufi, elementi e gatti. Non si tratta però di misoginia, bensì della rappresentazione della società attraverso la tipizzazione estrema delle caratteristiche dei singoli.

Tutto scorre, nulla permane e si trasforma continuamente. È questa l’essenza della vita che l’opera nella sua complessità riesce a trasmettere agli spettatori.

 

Elisa Cutullè

 

© Hans Jörg Michel

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