Bouches Les Rouges. Il bosco dei desideri

 

Judith Braun (Gertrud); Bettina Maria Bauer (Erna); Markus Jaursch (Bernard) | Foto: Astrid Karger

Chi l’ha detto che l’opera deve essere noiosa o pesante? Con «Bouches Les Rouges» Marius Schötz stravolge le strutture permettendo agli interpreti produttori di esprimersi con pensieri in fieri. Lo spettatore vede l’evolversi di una produzione operistica, guarda, quasi di sottecchi dietro le spalle la nascita di arie o canzoni, l’evoluzione del teatro musicale operistico, apparentemente nato per caso.

La scenografia di Robin Metzer è una litografia tridimensionale, che trasporta la scena in una località indefinita, surreale eppure, effettiva. I costumi di Florian Kiehl, sono all’apparenza atemporali, sofisticati ma ingombranti. Danno una parvenza  di marionette agli attori, interpreti di un ruolo a loro estraneo. Questa estraneità corporale viene trasmessa anche dagli incipit narrativi degli atti in cui gli attori interpretano, in cori asincroni, la parte di narratori.

5 atti che delineano il percorso dei quattro personaggi, che si trovano nei boschi di Saarbrücken dopo aver risposto ad un annuncio sul giornale, un annuncio che prospettava libertà e nuove esperienze.

Bernard (Markus Jaursch), Erna (Bettina Maria Bauer), Gertrud (Judith Braun) e Hektor (Stefan Röttig) si si incontrano nel luogo stabilito, ma non sanno cosa li aspetta. Decidono, però di andare all’avventura e di mettersi alla scoperta del bosco. La passeggiata, ben presto, si trasforma in escursione, che procura soddisfazione a tutti. Quest’unità con la natura fa nascere il desiderio di conoscere di più e rende il gruppetto spavaldo. Infatti non tentennano a seguire Gertrud nella tana dell’orso. Avventura un poco avventata, a dire il vero, che causa la perdita dell’occhio di Bernard. Improvvisamente l’umore del gruppo cambia: tutti diventano tristi e nascono scrupoli di coscienza. Sono Erna riesce a mantenere la mente lucida e parte, da sola, a cercare aiuto. Con poco senso di orientamento si perde e viene ritrovata dai tre in un torrente, viva ma confusa. Ora tocca a Bernard, travestito decidere cosa fare, ma si rende conto che la decisione è già presa: il viaggio sta per finire.

L’apparente fine rimane sospesa, perché il gruppo dei quattro rimane in attesa di un treno che non arriva mai.

Ma, si chiede il regista in cosa consiste un viaggio e un’escursione? La guida (Gaetano Franzese) arriva in ritardo all’appuntamento con i quattro viaggiatori, non sembra molto entusiasta del suo lavoro, e soprattutto di dover correre dietro a questo gruppo di irresponsabili. Non li raggiunge e non li vuole, forse, nemmeno raggiungere: cerca luce e calore. Ma chi non ha trovato la propria dimensione, chi è ancora, come i quattro alla balia dei propri sentimenti che cambiano come dei voltagabbana, non è in grado di fornire una solidarietà umana.

I quattro, infatti, pur definendosi gruppo, non riescono a creare un vero gruppo, perché assorbiti dal proprio dramma personale.

Marius Schötz  (autore e regista) ci presenta un modo di sentimenti in continua evoluzione: non esiste nulla di eterno, nulla di fisso. Quello che esiste oggi, può essere già, completamente stravolto domani, ma a quale prezzo? E quando è la razionalità a prendere il sopravvento, o meglio, a tentare di prendere il sopravvento?  Cosa significa fedeltà a se stessi? Cosa significa amicizia?

È un continuo tira e molla tra ragione e sentimento, tra divertimento e serietà, tra ragionevolezza e spavalderia. I piani si fanno, ma c’è quel momento, pur quanto fugace, a stravolgere tutto e a mettere in discussione tutto.

Questa produzione, offre uno spaccato della vita che, all’inizio investe lo spettatore con un sovraccarico di informazioni, quasi sopprimendolo. Si ha difficoltà, all’inizio, ad accettare quello che succede, finché non ci si rende conto che, in scena, ci sono i valori che determinano le nostre vite. Questa produzione dello Staatstheater (Prima assoluta: 17 ottobre 2020)  lascia lo spettatore, alla fine con molte più domande aperte di quando è entrato e lo forza a mettersi in discussione con se stesso e il resto del mondo.

 

Elisa Cutullè

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