Era una sfida davvero rischiosa e questa volta a sostenere questo piccolo capolavoro che, ad esclusione di Martina Franca e Cagliari (rispettivamente nel 2010 e 2011), non era stato mai più riproposto dopo l’esordio poco felice al Festival dei due Mondi di Spoleto nel 1977, non c’erano né il librettista – regista Eduardo de Filippo né il compositore Nino Rota.
Trentasei anni dopo, a raccogliere la faticosa eredità di quest’opera, due professionisti dello spettacolo hanno saputo infiammare i cuori dei giovani protagonisti di LTL Opera Studio, laboratorio permanente di formazione, specializzazione e perfezionamento per le professioni del teatro musicale, operante dal 2001 nell’ambito delle attività dell’Azienda Teatro del Giglio di Lucca, della Fondazione Teatro di Pisa e della Fondazione Teatro Città di Livorno “Carlo Goldoni”.
Oltre due mesi e mezzo di lavoro con il regista, Fabio Sparvoli, hanno forgiato il cast, oltre 27 presenze che si sono alternate nei ruoli nel corso delle due recite in programma a Lucca e in quelle successive (sono previste repliche a Pisa e Livorno); l’allievo di Giorgio Strehler (ma vale la pena ricordare anche come nel 1984 ha iniziato il suo rapporto di regista collaboratore nel teatro lirico con Roberto De Simone, con il quale ha allestito tutti gli spettacoli fino al 1997) , protagonista di grandi spettacoli di prosa e di lirica, ha sputo trasfondere quell’amore per il dettaglio, per il bello, per la capacità di interpretare, non solo vocalmente, i personaggi che ha reso la rappresentazione emotivamente coinvolgente senza cali di tensione e senza retoriche folcloristiche.
Del resto l’opera si differenza dalla piece teatrale andata in scena per la prima volta al San Carlo di Napoli nel ’45, non solo per la famosissima frese finale «S’ha da aspetta’ Ama’. Ha da passa’ ‘a nuttata» con le ben più drammatica e inquietante “la guerra non è finita e non è finito niente”, ma per la profonda disillusione che Eduardo vive in quella conclusione degli anni ’70 nei quali valori e speranze sembrano aver abbandonato i cuori degli italiani. I toni del libretto dell’opera sono più aspri, il dolore più intenso, i personaggi meno capaci di guardare al di là del momento contingente per sperare in un domani migliore. La morte di uno dei figli di Amalia e Gennaro è l’epilogo di una storia che Sparvoli fa raccontare ai cantanti con una essenzialità ed una intensità che affascina e commuove.
Analogamente, prezioso il lavoro che il direttore d’orchestra, il giovane Maestro Matteo Beltrami, frequentatore abituale dei palcoscenici nazionali e internazionali, ha fatto dal punto di vista vocale. La partitura, davvero bellissima, di Rota non è certamente facile e la sua quasi totale assenza dai teatri e dai concerti ha reso necessario un capillare lavoro di studio e di approfondimento che gli allievi di Opera Studio hanno ben assimilato restituendolo con una performance complessivamente più che apprezzabile.
Belle le scene di Alessandra Torella interamente realizzate nei laboratori del Teatro del Giglio che torna finalmente a mostrare la propria capacità di operare con risorse interne di grande professionalità; nella loro essenzialità riescono a ricreare efficacemente la vita dei bassi napoletani in quegli anni ’40 dove il confine tra la vita e la morte era labile quanto quello tra la legalità e l’illegalità.
In un teatro del Giglio tutto esaurito sia sabato che domenica, gli applausi sono diventati quasi una standing ovation rompendo una tensione emotiva che ha accompagnato i tre atti dell’opera.
Pregevole la prova di Valeria Sepe, l’Amalia della recita di sabato che ha incantato il pubblico con un mix recitazione – voce davvero notevole. Alla stessa stregua, eccellente la performance di Francesca Paola Geretto, una Maria Rosaria che ha “letto” con passione e precisione il personaggio della giovane figlia, colei che più vicina all’animo di Gennaro, ne comprende il dramma al suo ritorno. Bella la interpretazione che Giampiero Cicino ha fatto di Gennaro. Da vero attore ha dato alle parti recitate quel pathos che le ha rese indimenticabili, mentre nella parte cantata ha dato complessivamente una buona prova. Anche Stefano Trizzino, il sergente americano Jhonny, ci ha regalato una piacevole prova della sua versatilità pur nella brevità della sua parte a dimostrazione di quanto, in un complesso ed articolato mosaico com’è quest’opera, ogni ruolo è determinante all’equilibro dell’assieme. Ugualmente positive le prove offerte dagli altri protagonisti: Saverio Pugliese, il figlio Amedeo; Dario Di Vietri, Errico Settebellezze; Veio Torcigliani, Peppe ‘o cricco; Marta Lotti, Adelaide; Alessandra Masini, Assunta (davvero brava in quei passaggi nei quali il riso sembrava inarrestabile a darne per intero, e musicalmente, il senso drammatico); Gianluca Tumino, ‘O Miezo Prevete; Juan José Navarro, Riccardo Spasiamo, il ragioniere; Antonio Sapio, Federico; Andrea Antonino Schifaudo, Pascalino ‘o pittore; Raluca Pescaru, Donna Peppenella; Teresa Gargano, Donna Vincenza.
Eccellente l’Orchestra della Toscana che ha saputo trasferire al pubblico della partitura l’originalità e l’estro creativo del compositore anche nei rimandi alla musica tradizionale senza mai scadere in un facile folclore di maniera.
Napoli Milionaria tornerà nei palcoscenici toscani il 15 e 16 marzo a Livorno e il 23 e 24 marzo a Pisa, occasioni da non perdere per coloro che non hanno avuto la possibilità di partecipare alla prima lucchese.
Stefano Mecenate
Foto di Lorenzo Breschi