Nel 2013 ricorre il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi. Senza alcun dubbio è uno dei compositori operistici italiani più conosciuti al mondo: l’Aida, il Nabucco e il Rigoletto, sono solo alcuni dei sui capolavori. Ed è proprio sul Rigoletto che è caduta la scelta di Dagmar Schlingmann per la rappresentazione nel Weltkulturerbe Völklinger Hütte.
Nel 2013 è iniziata la ristrutturazione dello Staatstheater per cui, per molte produzioni, sono tate cercate e trovate delle location alternative, una di queste appunto la Völklinger Hütte.
All’inizio furono sollevati dubbi sull’acustica del luogo e anche sul fatto di essere “consoni” ad una rappresentazione teatrale di tutto rispetto, eppure, chi ha avuto modo di assistere allo spettacolo (l’ultimo si è tenuto il 1 Giugno), non ha potuto che ammettere la riuscita del concetto nella sua totalità. Anzi, considerando l’essenzialità della scenografia, la musica e la capacità recitativa dei protagonisti è stata elevata alla massima potenza ed aumentata del suo potere comunicativo.
Il Rigoletto (1851) è, con Il trovatore (1853) e La traviata (1853), parte della cosiddetta “trilogia popolare” di Verdi un’opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma di Victor Hugo Le Roi s’amuse (“Il re si diverte”). La prima ebbe luogo l’11 marzo 1851 al Teatro La fenice di Venezia.
Centrato sulla drammatica e originale figura di un buffone di corte, Rigoletto fu inizialmente oggetto della censura austriaca. Non c’è da stupirsi visto che l’opera pone crudamente in evidenza le tensioni sociali e la subalterna condizione femminile. Questi sono stati anche gli aspetti su cui ha puntato la messa in scena della Schlingmann: i costumi di Inge Medert proponevano il coro in uniformi da lavoratori siderurgici, le donne in veste di donnine allegri, Rigoletto con costume di Arlecchino. Tipizzazioni che evidenziavano maggiormente la differenza di sociale tra la borghesia (in tiro e a lucido) e la plebe, “priva di apparente gusto”. Gli elementi scenografici di Sabine Mader hanno saputo sapientemente collocare elementi di arredamento e di “vita” in una ambiente duro e severo, come è l’interno della fabbrica siderurgica.
Interessante l’idea di rappresentare il tutto su due palcoscenici diversi: primo e secondo atto hanno avuto luogo su un palco condiviso tra orchestra e protagonisti mentre il terzo atto è stato messo in scena proprio su una delle macchine siderurgiche (uno spazio esiguo su cui i personaggi dovevano mettere in luce il massimo della bravura). Scelta azzeccata perché gli spazi nascosti continuavano a fornire allo spettatore la sensazione di poter essere parte di ciò che succedeva dietro la scena.
I protagonisti dei tre ruoli principali, Rigoletto, Gilda e del Duca di Mantova, hanno incontrato i favori del pubblico. Più di tutti Gilda, interpretata da Elisabeth Wiles seguita dal duca di Mantova con “La donna è mobile” interpretata da Alexandru Badea e Jevgenij Taruntsov: non siamo ai livelli di Maria Callas e Luciano Pavarotti, ma siamo sulla buona strada.
Elisa Cutullè