Recensione a “La vergine Francese” di Pino Rotta


Mi sono occupata diverse volte, nel corso dei mie studi universitari pre-universitari e post-universitari della donna demoniaca nella letteratura di fine secolo Europea.

Questa donna, opposta alla donna angelica del Trecento, alla donna che serviva ed era in tutto servizievole, mi attraeva, sebbene non sapessi spiegarmene il motivo.

E’ stato in quel periodo anche che venni, per la prima volta, a conoscenza di Lilith, prima sposa di Adamo. Non ne avevo mai sentito parlare prima: non era Eva quella che aveva tentato Adamo costringendolo a lasciare, assieme a lei, il Paradiso?

Secondo la tradizione della cabala no: la prima sposa, Lilith, Luna nera del piacere, è stata la prima ad essere scacciata dal paradiso terrestre per aver disobeddito al volere divino. Erroneamente, come riporta anche Wikipedia, si ritiene che Lilith derivi dal termine ebraico laylah (notte); Liltith è invece un derivato dal etrmine sumero Lil (vento).

La moglie scacciata diventa per la tradizione ebraica il simbolo dell’adulterio, della lussuria, del peccato. E’ questa l’accezione che ritroviamo nel dipinto protagonista del primo racconto della raccolta di Pino Rotta.

Siamo a Parigi, la città decadente e fatiscente per eccellenza. Il tempo non ha valore: in effetti in tutto il racconto non abbiamo mai chiari riferimenti ad una temporalità “stigmatizzata”: vi è sì un passato ed un presente, ma tutto è concatenato ai ricordi, non allo scoccare delle ore.

Il lettore si trova ad osservare questo protagonista, portato dal vento della propria curiosità e dalla paura di affrontare paure così recondite delle quali non si riesce nemmeno più a trovare l’origine.

Non sappiamo da che cosa il protagonista sia spaventato: di se stesso non ci dice nulla, nemmeno come si chiama. Sappiamo solo che si trova spesso a Parigi e che non ha mai avuto il coraggio di entrare nella Basilica Notre Dame. E’ come se una forza misteriosa gli impedisse di varcare la soglia dell’amore familiare, della luce. Il vento del desiderio di consocenza però, lo spinge ad entrare, ad addentrarsi nei menadri delle figure rappresentate sul portale della Vergine. Viene “rapito” da una strana figura: al posto del serpente tentatore vi è Lilith con busto da donna e corpo da serpente a tentare l’uomo. Non basteranno tutte le donne, tutte le vergini di Notre Dame a salvarlo dalla tentazione? O è necessaria la tentazione per poter apprezzare al meglio, la rettitudine di alcuni sentimenti.

Rimaniamo con un dubbio: è vero che solo Lilith ha raggiunto il suo scopo mentre l’uomo, in senso lato, continua ancora a cercare?

Pino Rotta, negli altri racconti, ci incanala verso altri percorsi di ricerca di questo qualcosa di superiore, di magnifico: con “la gita domenicale” andiamo alla volta della natura, che ritroviamo, con tenerezza, ne “Il Prato di Sally” o “Il viaggio”. “Il risultato” e “Il pensionato quasi incazzato” ci offrono due spaccati della vita quotidiana: l’uomo moderno da attore è diventato spettatore della propria vita, “subisce” la vita, se la lascia scivolare addosso, quasi senza rendersene conto. Non si cheide il perché della propria esistenza e di come la propria vita possa essere messa in relazione con il resto, con il mondo, con la vita vera. Ma Luca, lo studente universitario ed il pensionato vengono svegliati con violenza e crudezza dal proprio letargismo quando la vita reale irrompe nelle loro vite, arrestando persone a loro care, persone che conoscono. Ma non riescono a svegliarsi: non sono stati “addestrati” ad affrontare queste situazioni e si chiudono in se stessi.

Chiuso nel proprio io rimane anche il marinaio, protagonista dell’omonimo racconto. Viene portato a riva da una corrente clemente, su un’isola che gli offre tutto quello che può desiderare, tant’è che alla fine ne diventa una parte.

Pino Rotta offre al lettore spaccati di vita che invitano a riflettere, che portano il lettore a voler proseguire con alcune storie, dando loro la propria conclusione.

Ma, la vita è personale è “un qualcosa che ci fa rimanere per sempre immobili nel vuoto”.

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