Intervista a Giuseppe Pelosi, autore di “Kuore- La scuola ai tempi dell’iPhone”

 

Insegnante, uomo di teatro, scrittore: tre parti della tua persona. Come convivono?
Direi bene, grazie! Concepisco il teatro come una occasione di apprendimento, l’insegnamento come favorito dalla teatralità, e la scrittura serve a rendere conto delle altre esperienze! Insomma, mi sento spesso “insegnante”, quando recito, e mi sento sempre un po’ attore quando spiego. Dico spesso di essere un attore che il teatro ha prestato alla scuola, che la scuola non ha mai più restituito, ma non per questo il teatro ha smesso di pretendere il suo tributo… La convivenza, pertanto, è tutt’altro che problematica, è del tutto naturale.

L’insegnamento viene beffeggiato, stravolto e, spesso, sembra essere stato deciso a tavolino. La scuola si è evoluta o involuta?
La scuola si è evoluta. La scuola si evolve, continuamente, dopo ogni giorno di lezione, dopo ogni ora di lezione. Ciò non toglie che stare al passo con questi tempi che cambiano sia difficile, e che pertanto, su certi aspetti, la scuola possa sembrare non involuta, ma in ritardo. E più che la scuola in sé, i suoi ministri, cioè gli insegnanti. Ecco perché sembra che il loro ruolo sociale, la loro importanza, sia oggi misconosciuta. Gli insegnanti sono diventati sacerdoti di un culto di massa, cui nessuno più da vera importanza (la cultura, la formazione, l’apprendimento…), e sono diventati sacerdoti in odore di eresia, soprattutto quando, manifestamente, faticano a tenere il passo con la realtà che ci circonda per proclamare verità che per molti sono prive di senso ormai. Tutti parlano dell’importanza della cultura, ma a guardarsi intorno sembra che regni l’ignoranza, e che manchi anche l’umiltà per ammetterlo. In questo contesto gli insegnanti sembrano un po’ come le balene: cacciati da tutti e in via d’estinzione…

Le nuove tecnologie hanno trasformato il nostro modus vivendi. Come sono state integrate le nuove tecnologie nell’istruzione?
Non in maniera univoca. Esistono due modalità: in alcuni casi (purtroppo la maggior parte), le nuove tecnologie sono state integrate acriticamente, sotto la convinzione che fossero la soluzione di tutti i mali della scuola; con lo slogan “elettronico è bello” sono entrate in scuola le lavagne elettroniche, i registri elettronici, le penne elettroniche, le maestre elettroniche… Però è mancata la preparazione degli insegnanti e un minimo di progettualità didattica, che provasse a prevedere le reali potenzialità degli strumenti. Ha prevalso il filotecnicismo acritico. In altri casi (più rari), le tecnologie sono state introdotte come strumenti potenti di lettura e comprensione del reale, ma anche come strumenti così potenti da necessitare di un’istruzione dedicata. Si tratta di studiare con le nuove tecnologie e di studiare al contempo le nuove tecnologie. Le nuove tecnologie sono una materia di studio, oltre che strumenti di studio. Educare alle nuove tecnologie, al loro utilizzo corretto, spiegare le potenziali insidie, le implicazioni etiche, è oggi come oggi compito della scuola, ed è educare a essere cittadini del terzo millennio. Mi tocca però ammettere che l’atteggiamento ancora oggi più diffuso tra gli insegnanti è quello tecnofobo, che teme l’introduzione delle nuove tecnologie, vuoi perché esse possono ridurre l’importanza e il ruolo dell’insegnante (anche se non è vero qualcuno lo teme), vuoi perché per apprenderle lo stesso insegnante deve faticare non poco in termini di aggiornamento.

Hai notato dei cambiamenti nei tuoi studenti negli ultimi 10 anni?
Certo che sì! Ma cosa non è cambiato, negli ultimi dieci anni? Sicuramente anche i miei studenti sono cambiati, ma non mi sento assolutamente di dire che sono cambiati in peggio, che sono meno motivati, meno maturi, più ignoranti. Questi sono luoghi comuni, e anche facili scuse per chi non ha voglia di lavorare… Trovo che un insegnante che si lamenta degli alunni sia come un vigile che si lamenta del traffico. Credo che sia mio preciso compito di insegnante fare i conti con la realtà di questi ragazzi (per come sono, non per come vorremmo che fossero!) e, se non sono motivati, motivarli; se non sono colti, istruirli; se non sono appassionati, appassionarli. La verità è che oggi, come dieci o venti anni fa (quando ho iniziato a insegnare io), la cosa più difficile per me insegnante è spiegare ai ragazzi le motivazioni, le falsità quando non proprio le ipocrisie del mondo degli adulti… E delle volte non ci si riesce, e non rimane che essere onesti con loro, e ammettere che anche gli adulti sbagliano.

Cosa deve fare un insegnante per essere a passo con i tempi? Ritieni che sia difficile per gli insegnanti alfabettizzarsi con le nuove tecnologie?
In realtà penso che le nuove tecnologie, che indubbiamente hanno una curva di apprendimento anche ripida, per alcuni insegnanti, non siano però il vero problema. Per stare al passo con i tempi un insegnante deve conoscere i suoi allievi, ed essere in grado di comunicare con loro anche sul loro terreno: la musica che ascoltano, le loro letture, i loro hobby, i loro giochi e videogiochi preferiti… Conoscerli, in alcuni casi praticarli anche. Si tratta di colmare il gap generazionale. Chiaro che la musica “dei miei tempi” è migliore di quella che ascoltano loro (poverini!), ma solo se io accetterò di ascoltare la loro, loro accetteranno di ascoltare la mia. E a quel punto se ne renderanno conto da sé. Ovviamente, vale anche per i libri, la letteratura, la cultura in senso ampio. Sono ancora oggi grato a certi miei alunni per avermi prestato certi loro libri, che io non conoscevo ma che valeva assolutamente la pena di leggere. Un esempio? Un libro a fumetti che parla della Shoah: Maus, di Art Spiegelmann. Un capolavoro. Quindi il vero problema non è imparare le nuove tecnologie, ma è rimanere aperti alla comunicazione con loro. E loro, spesso, per comunicare usano le nuove tecnologie. Se noi vogliamo essere dove sono loro, dobbiamo essere anche su Facebook. Magari così riusciremo anche a insegnargli a usarlo “bene”…

La scuola ideale esiste? Se sì, come dovrebbe essere?
La scuola ideale non esiste, e forse non può nemmeno esistere… Il problema è che ognuno apprende in maniera personale, secondo i suoi tempi e i suoi ritmi, oltre che secondo le sue predisposizioni. Per cui l’ideale sarebbe una scuola per un solo alunno; che però sarebbe noiosissima… Ma io credo che la scuola conservi una sua funzione importante e fondamentale anche se non è la scuola ideale! E credo che la domanda chiave, “come dovrebbe essere”, sia quella che ogni insegnante dovrebbe porsi ogni mattina, prima di entrare in classe, mentre è in classe, e anche dopo esserne uscito. La scuola ideale si costruisce giorno dopo giorno, sperimentando, cercando, esplorando, vivendo la scuola dal di dentro, ribellandosi alla ripetitività di una professione scandita dal suono della campanella e dall’orario scolastico e dalla cogenza dei programmi. Insomma, a una domanda così difficile non so rispondere. Però ci provo ogni giorno!

Elisa Cutullè

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