Intervista a Cristiana Malgarini

Cristiana Malgarini, 24 anni, milanese dal 1996 vive in Lussemburgo e da 4 anni lavora per la Ferrero. È la più giovane italiana della corale Voices International (www.voicesinternational.lu).

Ci racconta la sua esperienza con la corale.

Come mai hai scelto di unirti a Voices International. Cosa si piace di questa corale?

Mi è sempre piaciuto cantare, così come la musica in generale. Lo scorso mese di ottobre Elisabetta, un’amica di mia mamma e nuovo acquisto di Voices International, le ha parlato del coro e, sapendo della mia passione, mi ha suggerito di provare a venire alle prove e vedere le impressioni che avrei avuto. Sono una persona generalmente introversa e timorosa, temevo di non venire accettata dal gruppo. Invece sono stata accolta benissimo fin dal primo momento, il che costituisce uno degli aspetti che più mi piacciono del coro, insieme al fatto di aver la possibilità di fare nuove amicizie con persone molto diverse per età e origine; apprezzo molto anche che il calendario delle prove è sempre ben organizzato e che si riesca a unire il duro lavoro con un’atmosfera amichevole e scherzosa.

Che cosa significa essere italiani in una corale internazionale in Lussemburgo?
Ti fa sentire davvero parte di qualcosa di più grande. Ognuno porta con sé il proprio bagaglio di esperienza, usi e costumi; tutto ciò si fonde nel momento in cui cantiamo insieme, diversi ma uguali, in una voce sola.
Cosa ti ha spinto ad andare a New York assieme alla corale?
L’ho subito considerata un’occasione da non perdere. Non ho mai viaggiato molto e gli Stati Uniti non sono tra le mete che più mi attirano, ma ho capito immediatamente che sarebbe stata una cosa importante, da non poter lasciar siscappare sotto il naso. All’inizio il viaggio sembrava talmente lontano che non ci pensavo nemmeno, eravamo concentrati sulle tappe lussemburghesi. Poi con il passare dei mesi mi sono resa conto che stava succedendo davvero, a me!
Cosa si è piaciuto di questa esperienza?
La possibilità di vedere una città così meravigliosa (non credo ci sarei andata di mia iniziativa), la fortuna di cantare insieme a 350 persone di paesi diversi su palchi prestigiosissimi, l’ottima organizzazione del festival, che ci ha permesso di vivere intensamente e serenamente quest’esperienza irripetibile.
Italia-Lussemburgo-New York: “un viaggio della speranza” del XXI secolo. Come lo hai vissuto?
La prima tappa Italia-Lussemburgo è avvenuta quando avevo poco più di otto anni. Mi è dispiaciuto sinceramente lasciare il paese di origine, i familiari, gli amici, i compagni di scuola. Tuttavia, vista la giovane età, avendo avuto la possibilità di continuare a studiare nella mia lingua anche nel nuovo paese di residenza e potendo tornare sovente in Italia a rivedere le persone care, non è stato un trauma, e oggi considero il nostro arrivo in Lussemburgo come una benedizione e un’incommensurabile fortuna.
Il salto newyorkese è stato senz’altro diverso. Innazitutto, nonostante l’eccezionale organizzazione del comitato del nostro coro, è stato un viaggio che ho dovuto affrontare “da sola”, un’esperienza solo per me, famiglia esclusa, che non era legata a una necessità (un nuovo impiego, una miglior qualità della vita), ma che apriva le porte a un’esperienza di vita umana e artistica. Ero un po’ spaventata inizialmente, per la mia inesperienza e sapendo della severità dei controlli all’ingresso degli Stati Uniti. Ma appena arrivata in aeroporto a Findel, ritrovati i compagni di avventura, sono stata accesa da un entusiasmo che continua a bruciare tuttora e che mi ha permesso di affrontare la traversata oceanica con serenità e curiosità.
Che ricordo ti porti dentro?
Ho amato ogni istante di questo viaggio, soprattutto ora che sono tornata alla “routine” mi rendo conto dell’immensa grazia e fortuna che quest’esperienza è stata per me, è stata senz’altro il capitolo più bello di quest’anno 2012. Ricordo con piacere le risate con le compagne di camera, le passeggiate lungo le vie di Manhattan, le luci di Times Square, i negozi e i musei con abbondante aria condizionata, l’emozione di sentire per la prima volta 350 persone di tutte le età e provenienti da ogni angolo del mondo che cantano e si muovono all’unisono. Non posso non pensare alla vista, di notte, sulla città illuminata dall’altissimo Empire State Building; alla gente di ogni tipo che scorre per le strade come un fiume, a tutte le ore; ai volti raggianti dei ragazzi del Kearsney College Choir del Sudafrica; alle abbondanti colazioni; alle semplici chiacchiere, seduti sotto gli alberi per ripararci dal sole caldissimo; al nostro entusiasmo, mentre usciamo dall’albergo alle 6:30 di mattina, vestiti in uniforme e con tanto di trucco, diretti a cantare per Good Morning America; alla cena di chiusura del festival, di nuovo tutti insieme, cantanti, musicisti, maestri, organizzatori, in una splendida crociera, a osservare il tramonto, con un po’ di malinconia per la consapevolezza che ormai il viaggio si conclude, ma talmente felici di avervi preso parte da rimanere senza fiato. 
Elisa Cutullè

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