Don Carlos

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Schiller sembra farla da maggiore in questo periodo. Già presente nella messa in scena del gruppo giovanile, si ripresenta questa  con una delle opere emblematiche di Schiller che, insieme a Goethe, è uno dei letterati chiave del Settecento tedesco.

Nella rappresentazione di Saarbrücken, la messa in scena è affidata a Christoph Diem , amante del minimalismo e della messa in evidenza dei caratteri (per Saarbrücken aveva già messo in scena “Der kleine Prinz”). La sua decisione di collocare l’azione lontana dagli ambienti sfarzosi della corte spagnola (solo alcuni piccoli dettagli come il sospensorio o il colletto dei costumi di Dorothee Scheiffarth lo rievocavano) non ha trovato l’apprezzamento di tutto il pubblico.  Diverse persone, infatti, hanno abbandonato la sala perché l’esibizione non rispecchiava quello che ci si aspettava di vedere.

Il corollario, la scenografia deve soffocare gli interpreti, diventare parte della rappresentazione o sottolineare alcuni aspetti, caratteri ed emozioni dei protagonisti. La scelta che Florian Barth ha operato in questo senso è stata l’ultima: musica moderna, effetti di coriandoli, video sullo sfondo che sottolineavano la forza, le diatribe interne, le speranze e le paure dei protagonisti.

È l’atteggiamento del pubblico la chiave per la fruizione: se si è fermi su preconcetti, su idee di rappresentazione e si sente la necessità di una chiaro riferimento di compartimento stagno, allora  il lavoro di Diem, Barth e Scheiffarth non è quello giusto.

Da germanista mi permetto di dire che Schiller non è un autore le cui opere sono esclusivamente collocabili in un periodo storico. La  caratterizzazione dei personaggi, la capacità di svelare aspetti caratteriali interessanti e nascosti, è quel certo non so che che conferisce all’opera una sorta di validità atemporale.

In questo il lavoro di Diem , Barth e Scheiffarth è molto più che riuscito.

Il marchese Posa (Robert Prinzler) chiede al proprio amico, erede al trono, Don Carlos (Cino Djavid) di trasferirsi nelle Fiandre in modo da rendere più mansuete le province protestanti. Proprio a causa dell’amicizia tra i due Don Carlos non capisce di essere un mero strumento delle mani di Posa. La sua confusione è accentuata anche dal fatto di essere innamorato della giovane moglie del padre, Elisabetta di Valois (Alezandra Findler). Di lui è invece innamorata la principessa Eboli (Yevgenia Korolov) che al contempo ha una relazione con Filippo II, suo padre (Andreas Anke). Gli uomini di fiducia di quest’ultimo, il crociato Domingo (Johannes Quester) e il Duca alba (Georg Mittelstieler), mettono il coltello nella piaga e continuano a vedere, giustamente, intrighi da tutte le parti. Il re non è un uomo forte, sottolineato anche dall’inquisitore (Klaus Meininger), bensì un uomo alla mercè di mgolie e consiglieri.

Un giallo settecentesco che unisce amore presente  e assente, immaginato e reale all’interno di una costellazione familiare non facilissima.

Assolutamente da vedere.

 

Elisa Cutullè

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