Indiscusso e meritato successo per le prime due opere nel cartellone del 64°Festival Puccini.
Questa volta sembra partito davvero col piede giusto mettendo d’accordo pubblico e critica sulle qualità vocali dei due cast: Turandot e Tosca hanno avuto una valanga di applausi di un pubblico che ha riempito quasi completamente i posti disponibili del Gran teatro Giacomo Puccini di Torre del Lago.
Per Turandot si è trattato di una ripresa della produzione dello scorso anno che ha visto il giornalista Alfonso Signorini mettersi in gioco quale regista della “bella incompiuta”; così ci ha proposto la sua lettura dell’opera: «Liu, l’umile schiava è il vero punto di snodo di questa fiaba sospesa nel tempo dove l’amore, come in ogni fiaba che si rispetti, è destinato a vincere e a vivere sopra ogni cosa. Anche sopra la morte. Una fiaba bipartita quella di Turandot: caratterizzata dalle tinte scure del primo atto, dove a dominare è la notte, rischiarata dalla luce gelida della luna e dallo scorrere del sangue versato dai principi decapitati dalla furia della principessa. Mano a mano che la figura di Liù diventa centrale, tutto diventa più terreno: Turandot scende lentamente dalla ‘turris eburnea’ nella quale ha vissuto e si fa più umana. Le luci dell’alba donano alla vita un colore diverso, più lieve, più caldo, meno drammatico. Potenza dell’Amore».
Il nostro giudizio sulle scelte da lui fatte restano le stesse, con molte perplessità su soluzioni non sempre condivisibili, ma resta il fatto che la sua lettura ha trovato incondizionato consenso nel pubblico che, a conclusione dell’opera, gli ha tributato un lungo applauso ripetuto durante i vari ritorni alla ribalta dei cantanti.
Scene e costumi sono quelli Carla Tolomeo e Fausto Puglisi con Leila Fteita , coreografie di Cristina Gaeta che ha avuto come ballerini il Corpo di Ballo della popolare trasmissione Amici di Maria De Filippi. I ballerini sono Elena D’Amario, Giulia Pauselli, Marcello Sacchetta, Federica Panzeri, Sebastian Melo Taveira.
A dirigere l’Orchestra del festival, il M° Alberto Veronesi, Presidente della Fondazione e direttore artistico ad interim. Complessivamente convincente la scelta dei tempi e la capacità di trarre dalla partitura pucciniana le molteplici sfaccettature tecniche ed emotive. È un’opera questa che difficilmente si giudica solo col metronomo: in quelle pagine sono raccolte le passioni, le angosce, le speranze e i sogni del compositore lucchese e solo restituendo queste si conquista davvero il cuore del pubblico. Veronesi di questo è consapevole e su questo lago, accanto alle spoglie mortali di Puccini, ha saputo rapire l’animo dei presenti aiutato da un cast qualitativamente omogeneo e di buonissimo livello.
Qualche dubbio sul coro che, specie nel secondo atto, ha mostrato qualche limite ma alla fine anch’esso, insieme a quello delle voci bianche del Festival Puccini, ha saputo creare l’atmosfera giusta per immergersi dentro questa storia senza fine che trova un epilogo grazie alla volontà di Toscanini e all’impegno di Franco Alfano di dare una conclusione degna dopo la morte di Puccini.
Indiscusso leader della serata il tenore tunisino Amadi Lagha che ha dominato dall’inizio alla fine il ruolo del Principe Calaf ottenendo una plebiscitaria richiesta di bis al “Nessun dorma” al quale ha dato un’entusiatica risposta affermativa esibendosi un una performance strappa applausi.
Brava nel non facile ruolo della Principessa di Gelo, Turandot, la soprano Martina Serafin che ha mostrato tutto il suo temperamento ed una qualità timbrica di grande livello, come pure l’altra protagonista, la schiava Liù, interpretata dalla soprano Lana Kos: due figure complesse che le due artiste hanno saputo declinare con grande passione cogliendone, scenicamente quanto vocalmente, le contraddizioni e le sensibilità.
Buona, specie nell’ultimo atto, la prova del basso Alessandro Guerzoni, Timur. Positiva la prova dei tre ministri interpretati da Andrea Zaupa per la parte di Ping, Tiziano Barontini per quella di Pong e Francesco Napoleoni per Pang. Vocalmente interessanti, hanno seguito le indicazioni registiche, finendo talvolta per dare a questi personaggi spunti da marionette o da maschere della commedia dell’Arte che, forse, poco gli si addicono. Ma su questo come su altri particolari dell’opera vale la regola della soggettività interpretativa che da ampia discrezionalità ai registi di “leggere” personaggi e ambientazione in modo libero.
Merita ricordare anche il resto del cast proprio per questa “qualità” che si trova anche nei ruoli minori e che ha dato alla serata una grandissima carica emotiva che non ha visto sbilanciamenti o cadute: Nicola Pisaniello, L’imperatore Altoum, Claudio Ottino, un Mandarino, Anna Russo e Marina Gubareva, le ancelle, e Luca Micheli, il Principe di Persia.
Per gli amanti del gossip, la serata ha visto la presenza di numerosi ospiti del mondo dello spettacolo, da Nicoletta Mantovani a Mara Venier, Rita della Chiesa, Eloire Casalegno, della moda con Lavinia Biagiotti e della politica.
Repliche dell’operaoggi l 28 luglio e il 17 agosto.
Attesissima, per la presenza come regista di Giancarlo Del Monaco, figlio dell’indimenticabile tenore Mario del Monaco profondamente legato a Torre del Lago (qui il suo ritorno alle scene dopo il terribile incidente d’auto del 1964 che lo costrinse per otto mesi all’immobilità, qui la sua ultima recita dopo 40 anni di carriera, ne il Tabarro, nel 1974) la Tosca è stata un grandissimo successo nella sua straordinaria “normalità”. Niente fantasie trasgressive, nessun “effetto speciale”, solo rispetto ed umiltà nell’approccio con uno dei capolavori pucciniani.
«…niente sperimentazioni, niente stravaganze, io seguo solo il libretto, Tosca è uno dei più grandi e più conosciuti capolavori della storia dell’opera. È un’opera perfetta: musicalmente e drammaturgicamente. Abbiamo cercato di fare una Tosca bella, importante, classica, pittorica. Costruita bene, che possa descrivere esattamente quello che voleva il compositore» ha affermato categoricamente Del Monaco riaffermando un principio che lo ha visto, nel filone della tradizione senza mai necessariamente essere didascalico, protagonista di grandi successi in tutto il mondo.
In effetti questa Tosca si è mostrata all’insegna dell’eleganza: eleganti le scene di Carlo Centolavigna, eleganti e raffinati i costumi ideati e realizzati da Floridia Benedettini e Diego Fiorini: “I costumi di Tosca hanno la modernità di una storia di passioni e conflitti attualissimi. Il costume di Tosca già nel primo atto annuncia il filo conduttore di tutta l’opera, la passione e il rosso ne è l’emblema. Lo scialle rosso di Tosca sarà presente in ogni atto, con l’intento di sottolineare proprio il motore vero di tutta l’opera, l’amore!».
Elegante e suggestivo il disegno di luci di Valerio Alfieri.
Il suo “debutto” come regista a Torre del Lago è stato omaggiato da una cascata di applausi, tutti decisamente meritati, per aver saputo restituire l’opera alla sua originalità e per averci accompagnati all’interno delle pieghe di questa stupenda storia facendoci cogliere le sfumature di un libretto che omaggia il coraggio e la dignità delle donne contro la violenza, psicologica prima che fisica, di una certa umanità maschile arrogante e prevaricatrice. In quest’ottica la scelta di “aggiungere” in gesto dell’evirazione di Scarpia da parte di Tosca: gesto simbolico di grande significato poiché non si tratta solo di uccidere colui che ha osato far violenza ad una donna, ma privarlo proprio di quegli attributi che lo fanno sentire, insieme al potere del suo ruolo, in diritto di chiedere e di prendere senza rispetto.
Del resto, la chiave di lettura di questo superbo personaggio qual’è il Barone Scarpia sta proprio nelle parole da lui pronunciate nel suo palazzo all’inizio del secondo atto:
Bramo. – La cosa bramata
perseguo, me ne sazio e via la getto…
volto a nuova esca. Dio creò diverse
beltà e vini diversi… Io vo’ gustar
quanto più posso dell’opra divina!
Parole che fanno tremare i polsi e che ci rimandano tristemente ad una quotidianità nella quale il femminicidio, gli stupri, la violenza attraversano le nostre città.
Gli fanno riscontro le dolorose parole di Tosca all’amato Cavaradossi, nel terzo atto, con le quali gli descrive quegli angosciosi momenti:
Invan, pazza d’orror,
alla Madonna mi volsi e ai Santi…
L’empio mostro dicea: già nei
cieli il patibol le braccia leva!
Rullavano i tamburi…
Rideva, l’empio mostro… rideva…
già la sua preda pronto a ghermir!
“Sei mia!” – Sì. – Alla sua brama
mi promisi. Lì presso
luccicava una lama…
Ei scrisse il foglio liberator,
venne all’orrendo amplesso…
Io quella lama gli piantai nel cor.
Scelta coraggiosa e condivisibile quindi quella di Del Monaco di dare all’uccisione di Scarpia un significato ulteriore, che nulla toglie alla storia così come ci è stata proposta da Puccini, Illica e Giacosa ma ci richiama ad un momento di riflessione su quanto accade, anche in questo XXI secolo, intorno a noi.
Ad affiancare Giancarlo Del Monaco in questa magica serata, un cast d’eccezione che ha saputo regalarci momenti di grande musica proprio qui dove il Maestro lucchese ha vissuto i suoi giorni migliori.
Ottima la performance del tenore Stefano La Colla, Cavaradossi, che ha dato magistrale prova della sua vocalità robusta e sicura anche se forse poco attenta alle sfumature. He Hui, Tosca, raffinata ed elegante interprete della sua omologa cantante romana che, pur negato un richiestissimo bis alla celeberrima aria Vissi d’Arte, ha ottenuto grandi consensi e applausi durante e la termine dell’opera.
Potenza e ricchezza timbrica restano le cifre caratteristiche del baritono Carlos Almaguer che conferisce a Scarpia un’identità di cattivo tout court senza ravvedimenti né giustificazioni. Crudeltà ai limiti della perversione ma tutto in un equilibrio che lo rende interessante non solo sul piano vocale.
Buona l’interpretazione di Claudio Ottino del sagrestano, buona ma forse ancora inferiore alle sue reali potenzialità quella di Davide Mura di Angelotti; positive le prove di Francesco Napoleoni, Spoletta, Andrea De Campo, Sciarrone, Massimo Schillaci, un carceriere, Gaia Niccolai, il pastorello.
Suggestivo il Te Deum del primo atto nel quale sia il coro che quello delle Voci bianche del Festival Puccini hanno dato un’ottima prova.
Un discorso a parte merita la direzione d’orchestra, affidata al pur validissimo M° Pedro Halffter, compositore, nonché direttore artistico del Teatro de la Maestranza di Siviglia, la cui lentezza dei tempi nei passaggi cantabili limita la tensione emotiva e sopratutto sembra mettere in qualche difficoltà i cantanti.
La validità della sua bacchetta emerge invece nei momenti come lo spettacolare Te Deum o nei passaggi orchestrali del finale del secondo atto o l’alba del terzo dove prevale la parte sinfonica che egli certo padroneggia meglio dell’operistica.
Repliche il 4 e 12 agosto con nuovi cast e nuovi direttori d’orchestra.
Stefano Mecenate