La storia di Pigmalione , viene tramandata la prima volta da Ovidio. Nonostante il mito riguardasse l’amore di uno scultore per una statua femminile, plasmata a proprio piacere, nell’uso comune la definizione «Pigmalione» è attribuita a chi ricopre il ruolo di mentore e formatore nei confronti di una persona non acculturata e , a volte, rozza. A questo mito si ispira la commedia di George Bernhard Show, messa in scena nel 1913 al teatro Hofburg di Vienna.
Nel 1956 Alan Jay Lerner e Frederick Loewe, ispirandosi al lavoro di Shaw, ne creano un musical che vedrà, nei ruoli principali Julie Andrews e Rex Harrison. La storia non lascia immune anche il cinema. Nel 1964, infatti, George Kukor, decise di trasportare la storia sul grande schermo, offrendo la parte di Higgins di nuovo a Rex Harrison, ma sostituendo Julie Andrews con Audrey Hepburn. Un adattamento di successo, provato da 12 nomination e 8 oscar vinti (1965); 5 nomination e 3 Golden Globe vinti; 2 nomination e 1 premio BAFTA (1966 vinto); 3 Davide di Donatello vinti(1965); 2 New York Film Critics Circle Awards (1964) vinti e l’inclusione, nel 1998 nella classifica del 100 migliori film statunitensi.
A differenza del lavoro teatrale di Shaw, la fine della storia tra il professore di fonetica, Higgins, e la fioraia Eliza Doolittle, rimane aperta e non termina con le nozze tra Eliza e l’innamorato Freddy-Eynsfort-Hill.
Cosa rende, 100 anni dopo la prima messa in scena teatrale, la storia di Higgins ed Eliza Doolittle così attuale? Forse la funzione educativa di Higgins, lo spirito libero di Eliza o l’assurdità delle convenzioni sociali che caratterizzano le iterazioni quotidiane?
Nella messa in scena al Saarländisches Staatsteater curata da Thomas Winter il pubblico si trova in un ambiente dei primi del 900 [Scenografia: Dirk Becker; Costumi: Christoph Kremer; Luci: Daniel Müller] e un Higgins (Tobias Licht) esteticamente affascinante, sì, ma oltremodo dispotico. Già dalla prima scena), in cui lo troviamo seduto sul pavimento di casa sua, ad ascoltare le registrazioni fonetiche, la mimica facciale dimostra, chiaramente, la sua avversione a tutto ciò che è imperfetto. Si badi bene, imperfetto dal punto di vista linguistico, perché, a livello di comportamento, il professor Higgins ha ancora moltissimo da imparare ed è, egli stesso, come sottolineano più volte sia la sua domestica Mrs . Pearce (Judith Braun) che la madre, Mrs. Higgins (Gabriela Krestan). Anche il maggiore Pickering (Stefan Röttig) gli fa notare i modi non proprio fini nella sua interazione don Eliza Doolittle (Herdis Anna Jonasdottir/Valda Wilson).
Higgins, tuttavia, sembra non darci troppo peso, anche perché troppo preso, dalle sue regole e dalla sua conoscenza. Che sia uno sbruffone non ci sono dubbi: guarda tutti dall’alto in basso e prova piacere quando riesce ad allocare le persone in luoghi geografici a seconda dell’inflessione dialettale. La sua precisione è stupefacente. Eppure, questa conoscenza non suscita ammirazione in chi lo incontra: più di uno (pubblico incluso) vorrebbe dargli, più volte svariate sberle per la sua presunzione. E la sua misogini con chi non considera suo pari. Eppure, il padre di Eliza, Alfred (Markus Jaursch), stuzzica la sua curiosità, tanto da spianargli una strada come oratore. Alfred, però, non apprezzerà questo «regalo»: dirà più volte che la cultura è un peso, perché obbliga a vivere, a prendere responsabilità. E, questo, non gli permette più di vivere la vita alla giornata, godendosi i momenti e gli imprevisti come faceva prima.
Anche Eliza, la giovane fioraia, che Higgins renderà una Gran Dama, fatica ad adattarsi alle strutture. Non è chiaro cosa, in realtà, la spinga a sottoporsi alla tortura degli esercizi fonetici. Certamente la prospettiva di un lavoro rispettato, in un negozio, ne è una delle cause, ma il miglioramento della posizione sociale non è da meno. Eppure, a processo di trasformazione completato, Eliza si trova spiazzata, spaesata perché non si sente né carne, né pesce a non sa più a quale gruppo sociale appartiene. Sarà questo il motivo per cui, alla fine, ritorni da Higgins, nonostante lui continui a trattarla male? Certo, Higgins, prova dei sentimenti, ma sarà capace di gestirli? Domanda che rimane aperta e, nel musical, senza risposta.
Quasi tre ore, pausa inclusa, di giochi di luce, momenti coreografici [ a cura di Thomas Klotz], classici highlight musicali come I could have danced all night o On the street where you live, recitazione ad altissimi livelli, che lasciano il pubblico con una domanda fondamentale: cultura ed educazione da chi e cosa vengono definiti? Ognuno risponda per sé.
Prossimi appuntamenti:
Dicembre 2017: 20, 29, 31
Gennaio 2018: 11, 14, 28
Febbraio 2018: 3, 4, 8
Marzo 2018: 3, 8, 21
Aprile 2018: 6, 8, 22
Maggio 2018: 18
Per info e biglietti: www.staatstheater.saarland
Elisa Cutullè