«Mathis der Maler» per te è…
.. stata un’occasione per arricchire le mie conoscenze. Appena è stato noto che si sarebbe fatta questa opera, ho ricevuto in regalo un libro sull’altare di Isenheim ed ho incominciato a documentarmi. Musicalmente non la conoscevo e, a volte, preferisco non conoscere le opere fino alla fine, per mantenere l’effetto sorpresa alla prima prova dell’orchestra.
Ascolto la musica e cerco di trasferire nell’ascolto e, in base alle anche idee del regista, le idee illuminotecniche. In Mathis l’illuminazione è stata adattata alla scena, frutto di una lunga preparazione tecnica per la quantità delle luci presenti in scena. Ogni quadro avrà un’atmosfera a sé.
Come arriva un siciliano a Dresda?
È stato alquanto «Improvvisato». All’epoca stavo insieme a una ragazza di Jena che studiava a Dresda, quindi l’ho raggiunta per stare un paio di mesi… che si sono trasformati in 12 anni.
In Italia lavoravo già come responsabile luci per una compagnia teatrale e studiavo al conservatorio. Avevo iniziato a lavorare come tecnico teatrale per mantenermi agli studi, ma presto mi sono reso conto che mi piaceva. Così, arrivato a Dresda, mi sono un po’ informato e ho fatto il corso per «Meister für Veranstaltungstechnick». L’approccio con la lingua tedesca, invece, è stato bello e neanche tanto difficile: ho seguito un corso di due mesi al Goethe Institut.
Ho finito il Meister nel 2004. Avevo fatto il mio tirocinio obbligatorio alla Semperoper e pensavo, dopo il corso, di ritornare in Italia. Invece il desino aveva altri piani per me. Una domenica mattina, ancor prima di finire il corso, ricevo una telefonata in cui mi viene chiesto se volessi iniziare a lavorare alla Semperoper.
Cosa significa lavorare alla Semperoper?
Per me la Semperoper è una grande istituzione e prima di lavorarvi, ne ero già un frequentatore assiduo. Come tutte le grandi istituzioni è molto macchinosa. Io ho iniziato come capo illuminotecnico: mi occupavo dell’allestimento quotidiano delle opere di repertorio. Dopo 4 anni ho avuto la possibilità di diventare caporeparto, che è, in un certo senso, anche il light designer della casa, e da lì ho iniziato questo percorso.
Hai detto che eri un assiduo frequentatore dell’opera. Lo sei ancora? Quando vai a vedere uno spettacolo, riesci a staccare?
Sì, ci vado ancora spesso. E quando guardo uno spettacolo, mi devo impegnare a non guardarlo da un punto di vista «solo professionale». Se ce la faccio a staccarmi, vuol dire che lo spettacolo mi ha preso, se non ce la faccio, vuol dire che lo spettacolo aveva qualche imperfezione.
Come funziona la collaborazione tra chi si occupa delle luci e il regista?
Funziona sempre in maniera diversa, a seconda dei registi: ci sono quelli che ti danno carta bianca e, invece, quelli che hanno in mente già un piano ben preciso di come devono funzionare le cose. Tutte le esperienze sono belle.
Ci sono determinati tipi di spettacoli che presentano più sfide dal punto di vista dell’illuminazione?
Quando mi occupo di qualcosa in teatro, mi sento a casa, quindi nessuna sfida. Quando si tratta di balletti, invece, in quanto i coreografi moderni sono molto più vicini alla vita reale, gli spettacoli presentano delle sfide diverse, ma belle. Per i progetti esterni, invece, si tratta di una novità in toto. Se c’è la possibilità, vado a visitare prima, il luogo dello spettacolo per farmene un’idea; se la possibilità non c’è, mi devo orientare con piantine e disegni tecnici.
Cosa volevi fare «da grande»?
Il professore di matematica, poi il chimico e infine studiare musica. Ho iniziato a studiare musica, mi sono avvicinato agli impianti audio ed è nata l’idea di fare il tecnico del suono. Improvvisando poi, mi sono avvicinato al mondo illuminotecnico.
Elisa Cutullè