Roman Konieczny e Saarbrücken

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L’attore, nato a Karl-Marx-Stadt, era fin da piccolo un bambino affascinato dal mondo della fantasia che lo portò a partecipare a diverse recite scolastiche. Dopo la maturità, non sapendo bene che percorso professionale intraprendere, ascoltò il consiglio di un’amica di ritornare alla sua passione del teatro e si iscrisse a una scuola di recitazione.

Venne a Saarbrücken per un’audizione nel 2012 e, dopo alcuni ruoli da “ospite” divenne parte della compagnia stabile. Della città non conosceva nulla, ma rimase affascinato dal teatro e dallo spirito di amicizia e di collaborazione del gruppo, nonché dall’atmosfera rilassata che vigeva in città e che gli diede la sensazione di essere il benvenuto, di farne parte.

Oltre alla recitazione ha la passione per la fotografia. È un hobby per cui non bada a spese.

Lo abbiamo incontrato per voi.

 

Hai partecipato per la prima volta a un “Live-Film”. Come è stato per te?

Sì, è stata la mia “prima volta” in un progetto del genere. Avevo assistito, da spettatore, allo spettacolo precedente di Gehre (The Blade Runner) ed ero stato colpito dalla capacità di connettere la serietà e la giocosità della trasposizione. Non si tratta solo di un film che viene realizzato e proiettato al tempo stesso, ma di connubio interessante di cinema e teatro, visto che i sono tante scene che vengono interpretate live e che permettono, allo spettatore, di vedere in tempo reale come il tutto viene realizzato. È un bel progetto, ma è anche estremamente impegnativo. Ricordo che abbiamo investito tanto tempo per decidere come portare in scena i diversi momenti. Nel caso di Titanic la sfida è stata una sfida dover rappresentare, in uno spazio piccolo, la storia di una grande naufragio. Inizialmente abbiamo pensato di utilizzare davvero acqua, ma quando ci abbiamo provato, ci siamo resi conto che con tutti gli strumenti tecnici che avevamo in scena, nonché i nostri microfoni, la cosa sarebbe diventata praticamente impossibile. Ci siamo dovuti ingegnare per trovare gli effetti speciali, tipo cinema, adattabili a uno spazio teatrale. È stato un continuo sperimentare, assieme al regista, per trovare la scena perfetta da integrare nello spettacolo; un processo continuo, per tutta la durata delle prove.

Ogni tanto, senza che ce ne rendessimo conto, si infiltravano i torni e gli atteggiamenti del film di Cameron, il che ci scombussola un po’. Per un attore ogni ruolo rappresenta, in un certo modo, una sfida; per gli attori di questo spettacolo specifico, la sfida consisteva nella capacità di essere multitasking nei diversi ruoli di attore, voce fuori campo e operatore cinematografico e di riuscire a coordinare il tutto all’interno dello stesso spettacolo, spesso contemporaneamente. Non bastava, in questo caso, imparare una parte e andare in scena, ma essere in grado, mentre si recitava la propria parte di sapere già quale era la prossima ripresa da fare o il prossimo effetto speciale. Magari pensiero parallelo?

Ammetto però che, nonostante il grosso impegno che ha portato con sé (e che è molto di più di quanto può apparire allo spettatore che viene allo spettacolo), mi ha fatto piacere essere parte di questo progetto che è stato, anche, un crescere e creare assieme un progetto.

 

Sei nella compagnia dello Staatstheater di Saarbrücken da qualche anno. Noti differenze tra i diversi palcoscenici?

Sono a mio agio sul palcoscenico, qualunque esso sia e qualunque sfide presenti. La Sparte4 è uno spazio piccolo, intimo ma che ti porta anche molto vicino al pubblico, a cui non sfugge nulla e, di conseguenza, mi permette di vedere immediatamente le reazioni del pubblico. L’Alte Feuerwache è uno spazio che io vedo molto concentrato, con un’ottima acustica e illuminazione: quasi il palcoscenico ideale per pezzi teatrali. Lo Staatheater è un grande teatro, con grande capacità di pubblico, che crea anche però una certa distanza tra attore e platea.

Sono tre diverse costellazioni che si adattano a diversi generi per cui non mi è nemmeno possibile dire se c’è un palcoscenico che mi piaccia più degli altri.

 

Hai al tuo attivo, a Saarbrücken diversi spettacoli. Per il tuo ruolo nel musical “The Black Rider” hai ricevuto il premio dello Sponsorclub dello Staatstheater. Cosa significa, per te, aver ricevuto il premio proprio per questo ruolo?

Il ruolo nel musical era un ruolo straordinario: penso che, per un attore, poter recitare la parte del cattivo o meglio, di un diavolo, sia una delle soddisfazioni più belle che ci possano essere. La mia piccola sfida, in quel caso, era quella di essere ritornato a cantare, visto che, da Ulm non lo avevo più fatto in scena. Ma non fraintendiamo: posso dire di aver avuto la fortuna di recitare ruoli che mi piacciono e mi soddisfano.

Ovviamente mi sento lusingato dal fatto che il mio lavoro venga apprezzato e premiato, ma mi piace pensare che il premio sia per tutti i ruoli che finora ho recitato a Saarbrücken.

 

Quindi non c’è uno dei ruoli che ti sta più a cuore?

Posso dire che mi è piaciuto anche molto recitare la parte di Christopher Boone in “Supergute Tage”. È stato davvero un bel ruolo. Prima di questo spettacolo non avevo molte informazioni sull’autismo. Sapevo della sua esistenza, ma non ne sapevo molto o, meglio, non me ne ero mai occupato. Doverlo, in un certo senso, fare, è stato stimolante perché mi ha permesso di scoprire un mondo a me sconosciuto.

Ho affrontato il ruolo in maniera diversa dal solito perché, durante le prove, mi sono astratto, cercando di distanziarmi da quello che succedeva intorno a me, trasformando il pubblico in una “massa” e non in spettatori, rinchiudendomi nel mio mondo e aprendomi agli altri solo per brevi momenti.

Ad aiutarmi è stato sia il fatto di aver letto il libro, prima di recitare nel pezzo, ma anche, l’assistenza di una referente del centro autistico del Saarland che ci ha fornito preziosi consigli su cosa fare e come strutturare il mio ruolo.

 

Ci sono ruoli che ti sono più congeniali?

Tra quelli interpretati finora? Non saprei, meglio non credo. Ogni ruolo è diverso e, ogni volta che mi trovo ad affrontare un nuovo ruolo. Cerco di identificare il modo migliore per preparami ed entrare nella parte, per quanto ostica possa essere.

Per correttezza devo anche dire che non ci sono ruoli, autori o opere che, a priori non vorrei interpretare e neppure ruoli che vorrei assolutamente interpretare.

Finora sono stati specialmente i ruoli che non mi avevano convinto, di primo acchito, al 100% a darmi maggiori soddisfazioni. Se ci sono aspetti che non mi convincono cerco di parlarne con chi si occupa della regia. Ad ogni modo mi piace tuffarmi nei ruoli e farmi sorprendere dall’effetto che hanno su di me.

 

 

 

Elisa Cutullè

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