Wolfgang Amadeus Mozart sottotitola il suo DON GIOVANNI, “Dramma giocoso in due atti”. Seconda opera scritta su libretto di Da Ponte, fu composta nel 1787 da un Mozart trentunenne, su commissione dell’Imperatore Giuseppe II. Fu Praga, e non Vienna, ad ospitarne la prima. Il successo fu clamoroso: non solo l’opera è considerata uno dei più grandi capolavori di Mozart, ma anche della storia della musica, nonché della cultura del mondo occidentale.
Cos’è che affascina così tanto di quest’opera? Senza dubbio, il suo protagonista principale, Don Giovanni, ammaliatore di donne è un vero e proprio Casanova che, non solo si accontenta di sedurre le donne, ma tiene anche registro delle sue conquiste (seppure per mezzo del suo servo Leporello- interpretato, nella messa in scena di Saarbrücken da Tapani Plathan). 1003 le donne in Spagna, 640 in Italia, 231 in Germania, 100 in Francia e appena 91 in Turchia.. Viene lasciato alla libera interpretazione se la discrepanza notevole nei numeri, sia dovuta al poco fascino delle donne in alcuni dei paesi, ai viaggi del seduttore o semplicemente alla relativa integrità delle donne stesse.
Fatto sta che l’amore per le donne o, meglio, il soddisfacimento dei propri bisogni personali, rappresenta per Don Giovanni una vera e propria ragione di vita, anzi l’unica. Mozart delinea un personaggio completamento perso nel proprio narcisismo e nella lussuria fisica. Un uomo che, in nome dell’amore (carnale) non bada alle vittime che miete lungo il percorso: seduce qualsiasi donna, sposata e non, che lo stuzzica e non ci pensa su due volte ad uccidere chi, come il Commendatore (Hiroshi Matsui), cerca di mettergli il bastone tra le ruote.
La messa in scena dell’opera da parte di Dagmar Schlingmann (collaboratore di regia: Gaetano Franzese), con costumi di Inge Medert e scenografia di Sabine Mader ha l’intenzione di riproporre allo spettatore l’elemento giocoso del dramma e, contemporaneamente, trasportarlo fisicamente, in scena facendogli vivere il ritmo incessabile che scandisce la vita di Don Giovanni (James Bobby).
Le vittime femminili sono tante ma Mozart ne porta in scena solo tre: Donna Anna (Elisabeth Wiles), figlia del Commendatore e promessa sposa di Don Ottavio (Algirdas Drevinskas); Donna Elvira (Tereza Andrasi), nobildonna abbandonata da Don Giovanni e Zerlina (Herdis Anna Jonasdottir), contadina promessa sposa di Masetto (Markus Jaursch). Il loro percorso amoroso interiore e il loro rapportarsi con i sentimenti è il vero elemento trainante del pezzo.
Una scenografia che gioca tra proiezioni, elementi barocchi e paese incantato e costumi atemporali con tocchi di rococò e Alice nel paese delle meraviglie. Difficile non richiamare alla mente il cappellaio matto quando si vede Don Giovanni entrare in scena con cilindro e capelli lunghi. Sorge però il dubbio se la Schlingmann volesse, con l’abbigliamento che a tratti poteva evocare il pondo dei “pappa” fare un accenno velato al tema della prostituzione, sempre scottante e attuale, specialmente a Saarbrücken.
La giocosità è, senza dubbio, arrivata al pubblico: durante tutta l’esibizione si sentiva il pubblico sorridere o ridere di cuore e non distrarsi mai dalla scena. L’interattività è stata dalla decisione di trasportare la scena, per alcuni brevi spezzoni, in sala, facendo cantare i protagonisti direttamente dalla platea (prendendo in considerazione anche qualche stecca) ma anche dai cambi repentini di scena (secondo alcuni anche fin troppo repentini).
Unica nota dolente, tuttavia, alcune pecche nella pronuncia di alcuni interpreti: se non si è madrelingua italiani e si seguono solo i sottotitoli non lo si è notato nemmeno. Però, se si è madrelingua, in alcuni punti duole davvero il cuore a sentir straziata una frase o la pronuncia completamente messa a quadro. Un aspetto che intacca il fascino di Don Giovanni, rendendolo un po’ meno “irresistibile”.
La scena finale, quando il protagonista cade nelle voragini dell’inferno potrebbe apparire all’inesperto, sottotono. Guardando però attentamente, sembra che Schlingmann voglia riportare lo spettatore nella realtà: approfittarsi degli altri, giocare con i sentimenti degli altri in nome del proprio egoismo, non può che avere un unico risultato e, cioè, quello di venire raggiunto dalla realtà e di dover fare i conti con la stessa.
Elisa Cutullè