Bernstein è conosciuto per le sue creazioni musicali piene di brio, di verve. Uno dei suoi capolavori a livello mondiale è West Side Story (opera che continua a venire messa in scena da oltre 50 anni senza perdere il suo fascino).
A Quiet place, messo in scena alla Gläserne Manufaktur Volkswagen di Dresda, nell’ambito dei Dresdner Musikfestpiele 2015, è un’opera che presenta tutt’altri toni. Avvalendosi della bravura di Stephen Wadsworth per il libretto, Bernstein da vita ad una seconda parte, a sorta di Flashback, di A trouble in Tahiti.
La versione presentata a Dresda è una ripresa della versione da camera del 2013 a cura di Garth Edwin Sunderland, diretta da Kent Nagano che, da Settembre 2015 sarà il Direttore musicale dell’Opera di Amburgo. Nagano, nato negli Stati Uniti, crebbe sulla costa Californiana a Morro Bay. Nella sua infanzia non c’era né cinema, né TV e neppure un impianto stereo: la musica era presente però. Pianoforte e clarinetto. Dopo aver studiato Musica e Sociologia ed aver avuto i primi successi in America, nel 1988 si trasferisce a Lione dove rimase per ben 10 anni con la funzione di direttore musicale. Dal 1991 al 200 si trasferisce a Manchester per dirigere l’orchestra Hallè. Il passo è breve per Berlino dove dal 2000 al 2006 veste i panni di direttore del Deutsches Symphoniorchester Berlin e dopo, fino a Luglio 2013, direttore generale della Bayerische Staatsoper München.
Con un curriculum del genere non ci si può non aspettare uno spettacolo di una certa calibratura e di una ricerca musicale superiore, in particolar modo quando i due personaggi si sono conosciuti, come ricorda anche Inge Klopfer (autrice della biografia Kent Nagano. Erwarten Sie wunder, Berlin Verlag, 2015) nell’introduzione alla serata. Bernstein è, secondo Nagano, visto diversamente dalla generazione degli anni 2000, perché conosciuto solo in parte e non nella sua totalità e visto spesso come il compositore che ha cercato di avvicinare i giovani alla musica, con le sue lezioni orchestrali. Ma il vero genio, così Nagano, è un argomento complesso che ha bisogno di venir visto nella sua totalità, nella totalità delle sue creazioni. Bernstein è sinonimo di leggerezza e di spontaneità, siano essi aspetti positivi o negativi ma anche, come nel caso di A quiet place, di partiture complicate che svelano i lati nascosti del Bernstein maturo e ne definiscono lo stile. Bernstein è creatore di musica eterna.
La scenografia di Georges Delnon richiama l’essenzialità. Delnon, che dalla stagione 105/2016 sarà direttore della Staatsoper di Amburgo, già da diversi anni collabora con teatri e istituzioni culturali, prediligendo sempre l’aspetto artistico puro: una bara, un tavolo, una scala.
Per questa opera di Bernstein, ha deciso di porre dei semplici elementi scenici che riproponessero i cardini della storia di questa famiglia sfasciata e che, al contempo, mettesse in risalto la forza emotiva dei personaggi, quasi come lo spettatore dovesse percepire un bassorilievo musicale.
Lo spettatore di trova di fronte a setting non usuali per un’opera. L’orchestra si trova sul palco, in primo piano. In questo caso si tratta di un’orchestra ridotta (la scelta è caduta sull’Ensemble Modern, fondato nel 1980 e al 1985 con base a Francoforte sul Meno che vanta ben 17 solisti provenienti da Argentina, Bulgaria, Germania, india, Israele, Giappone, Polonia, Svizzera e Stati Uniti), posizionato al centro con alle spalle il coro Vocalconsort di berlino (fondato nel 2003 debuttò lo stesso anno a Innsbruck nell’Orfeo di Monteverdi e di cui fanno parte gesa Hoppe, Anne Bierwirth, Tom Philips e Simon Berg).
Il posizionamento è indice di come è stato concepito il tutto: la protagonista è la musica, non i solisti, non i musicisti e nemmeno il coro. È la musica che “usa” i diversi personaggi in scena per raccontare la storia di questa famiglia completamente persa.
Dinah, stigma della donna presente/assente è morta durante un indicente stradale ed ora famiglia e amici si ritrovano per il funerale. Sam (Christopher Purves), il vedovo, porta in cuore, silenziosamente, il lutto e la delusione per il ritardo nell’arrivo dei figli. Dede (Claudia Boyle), la figlia, arriva con il marito François (Benjamin Hulett), che poi si scopre essere anche l’ex ragazzo del fratello Junior (Jonathan McGovern). Un triangolo sui generis, perché i tre vivono assieme e sembrano non trovare nulla di strano in questo triangolo, visto che, più volte si dichiarano vicendevolmente l’amore.
I sentimenti che Junior, tuttavia, prova nei confronti del padre, sono tutt’altro che amorevoli: lo accusa della morte della madre ed ha allucinazioni in cui vede il padre ucciderlo.
Sam, invece, vive un percorso inverso, perché si avvicina alla figlia , che trova sempre più simile alla madre e infine al figlio a cui confida, tra l’altro di amarlo in maniera smisurata.
Un tripudio si sentimenti, di situazioni in sospeso, di sospetti e paure che hanno distrutto l’idillio familiare e che rendono difficile, seppur non impossibile, un ricongiungimento dei sentimenti e delle persone mirabilmente messo in scena dai protagonisti. Su tutti, anche a causa dell’ampio spettro interpretativo del ruolo, Jonathan McGovern, può sbizzarrirsi nel dare vita al personaggio di Junior: irreverente, innamorato, deluso, schizofrenico e infantile. Lo fa rendendo Junior così vero e reale che, alla fine, verrebbe quasi voglia di andare e prenderlo tra le braccia, per confortarlo ed assicuragli che c’è speranza per l’affetto familiare.
Un Bernstein molto intimista quello di A quiet place: una guida attraverso i travagli di una vita di famiglia resa invivibile dalla mancanza di comunicazione e dalla paura di affrontare sinceramente i sentimenti.
Elisa Cutullè