Bernarda Alba- Una donna del Sud a Saarbrücken

bernarda(c) Bettina Stöß

Vivere al Sud. Chi si è recato domenica scorsa alla Alte Feuerwache di Saarbrücken, si aspettava di vedere un balletto ispirato alla storia di Garcia Lorca di una madre e delle sue figlie.

Stjin Celis ha deciso di portare in scena questa storia, come già fatto per Peer Gynt, adottando colori/non colori, giocando con una scenografia basica, contenente ed opprimente allo stesso tempo, che lasciava allo spettatore il compito di attribuirgli il significato.

Il pubblico viene salutato da una figura, morta vivente, china e spettrale che vaga per la scena, interpretata da Lucyna Zwolinska: la mamma di Bernarda che, come uno spirito aleggia per tutto lo spettacolo apparendo e scomparendo nei momenti meno opportuni.

La scenografia di Katrin Gerhauser è semplice, spoglia ma chiara: la casa è una prigione che previene dalla vita. Il cozzare dei protagonisti contro le pareti in metallo, il suono cupo del rimbombo ripropongono l’ovatta della dimensione familiare che, con l’intento di isolare, in realtà divide la casa dal mondo reale. Niente della vita esterna, a parte la religiosità forzata riesce a penetrare la casa fortezza di Bernarda.

Bernarda, interpretata nella prima da Pascal Seraline (anche se negli spettacoli il ruolo sarà interpretato a turno da Pascal e da Francesco Vecchione) può sembrare poco impegnativo o di sfida per un ballerino: la coreografia è quasi assente, basica, da corollario. Eppure questa figura, curva, mantiene la scena anche in assenza: la presenza/assenza tanto cara a Greenaway costituisce il punto focale del pezzo: la grande forza che questa donna, ormai sessantenne, ha sulle figlie e sul mondo a lei cara. Di materno la figura ha poco o nulla. La bontà, l’affetto e la cura sono caratteristiche proprie della serva Magda, interpretata da una avvincente Stacey Aung che con umiltà, e di nascosto, prende il posto della figura materna consolando le figlie di Bernarda. Angustias (Katherine Lake), Magdalena (Laura Halm), Amelia (Lois Alexander), Martirio (Sarah Philomena Schmidt) e Adela (Stacey Aung).

 

I costumi di Catherine Voeffray contengono un forte peso simbolico: il nero per le donne è il colore predominante del lutto nei paesi del sud; gli altri colori, come il vestito verde di Adela sono una rottura con la tradizione, che tentano di minare l’integrità artificiale del mondo di Bernarda.

Gli uomini, in questa interpretazione coreografica di Celis sono personaggi di contorno: a volte re splendenti, dorati che rievocano il lusso e la vita o uomini di strada, abituati ad ottenere quello che vogliono. Infatti il cambio di personaggi durante le danze, che potrebbe sembrare un semplice espediente , in realtà porta in sé il nuce della storia: Bernarda cerca con tutte le forze di proteggere le figlie, costringendole a vivere segretate in casa per il lutto e invece “perde” la battaglia proprio a causa del desiderio maschile di onnipotenza, ovvero il dato di fatto che Pepe el Romano, fidanzato con la primogenita Angustias in realtà non disdegna la giovane Adela.

 

A Celis riesce, con questo, la creazione di un quadro delle tradizioni forzate vigente nei paesini del mediterraneo. Chi non è mai stato a lungo in un paesino non può capire la forza e l’importanza dei rituali da seguire in caso di lutto, i bisbigli, i sotterfugi e gli atteggiamenti che ne derivano.

 

Un mondo femminile, dominato dagli uomini e rinchiuso nei limiti di una asfissiante tradizione sottolineata con particolare effetto, dalla musica di Michio: uno cross-over di chitarra, flamenco, musica sacra e house.

 

 

Elisa Cutullè

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