Dario Fo, nel suo manuale di recitazione, sottolinea l’importanza dell’inganno in merito ad elisir e fraintendimenti, già molto diffusi nella Commedia dell’Arte. Elementi che si ritrovano nella messa in scena dell’opera di Donizetti all’Opera di Monaco con direzione musicale di Carlo Montanaro
La Bayrische Staatsoper ha un certo peso e come patria di Richard Wagner, il padre dell’essenza germanica, non ci si aspetta altrimenti: in fin dei conti è l’edificio in cui sono state messe in scena le prime dei capolavori di Wagner. Il maestoso edificio (riscostruito dopo diversi adeguamenti alla topografia cittadine e diversi incendi nel 1854) riflette nella sua totalità la magnificenza dell’epoca: le balconate, il gioco di colori tra cristalli, oro e rosso ricordano le scene dell’impero austro-ungarico. Sfarzo, lusso, benestare. Il teatro e i suoi visitatori: sembra di essere a una sfilata di gala. Eppure, incomincia a sorgere un dubbio quando sul sipario appare l’immagine del titolo dell’opera: uno schizzo dell’opera meccanica di Dulcamara e il titolo con caratteri infantili: l’insieme richiama alla mente Il Piccolo Principe di Saint-Exupery e Wall-E. La domanda sorge spontanea: cosa ha in mente David Bösch?
Lo spettatore è perplesso e la perplessità aumenta quando appaiono prima un palloncino rosa e poi uno azzurro. L’arrivo in scena di Giannetta non porta chiarezza, ma continua a far nascere questioni: Falko Herold, il costumista, era a corto di idee? Il vestito di giannetta è sporco, ingrigito, un misto tra un ammasso indefinito di tulle e un top sbarazzino. L’acconciatura ricorda i film americani in cui le casalinghe escono in strada dimenticandosi di avere i bigodini.
Il dubbio continua quando si apre il sipario e lo spettatore può vedere la scenografia di Patrick Bannwart: dove è il paesino contadino, traviato dalla guerra? Il tutto, sia per le sdraio sparse che per l’ombrellone rosa sotto cui Adina si mette a leggere.
Ed è proprio in questo istante che lo spettatore si rende conto della genialità di Bösch, Bannwart e Herold: la basicità, il grigiore dei vestiti e della scena in generale, la collocazione in una scena/non scena tra landa desolata e spiaggia indefinita, sono lo specchio dell’aridità dei sentimenti che la fanno da padrone nel paese: l’amore puro e sincero di Nemorino, la confusione mentale di Adina e l’aspettativa di Belcore di ottenere tutto e subito.
Il protagonista non è l’elisir d’amore che Dulcamara appioppa a Nemorino bensì l’amore e la sua illusione. Nemorino ricorda un povero Leopardi che anela a Silvia, che spera di riuscire a catturare l’attenzione di Adina. Ma lei è troppo presa da altro: Nemorino, seppure non per lei uno sconosciuto, manca di appetibilità. La cosa cambia quando vede le altre donne del paese che fanno la ressa attorno a Nemorino perché venute a conoscenza della sua ricchezza. Così Adina cresce come personaggio, vedendo i paralleli della sua storia e di quella di Tristano e Isotta: soccombe all’Elisir d’amore.
Stupefacente la dinamicità degli interpreti: Pavol Breslik canta l’aria Una furtiva lacrima, mentre è atleticamente arrampicato su un paolo della luce; Michael Bauer crea effetti luminosi a volte kitsch, ma che rendono il tutto più interessante, dal leggero tocco Hollywoodiano/Bollywoodiano.
La buona fede vs, l’inganno, gli interessi vs. il vero amore. Questa rappresentazione pone gli accenti su cosa è veramente importante: guardare con chiarezza solo gli aspetti importanti. Non immediatamente fruibile, da gustare lentamente e centellinare. Ma quando si riesce a trovare il punto di contatto, si rimane immersi e affascinati.
Del resto con un insieme di interpreti di tale livello sul palco è difficile rimanere impassibili, specialmente, quando ci si rende conto che, con grande umiltà, accettano il fragoroso applauso del pubblico.
Elisa Cutullè