LE PAROLE DELLA SPERANZA – GIOVANNINO GUARESCHI E I TEMPI MODERNI-PARTE II

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Coerenza, lealtà, fede: parole che per Giovannino Guareschi avevano un significato profondo e che sono presenti nei suoi scritti sia in forma esplicita che, più frequentemente, attraverso le testimonianze dei personaggi dei sui romanzi, perché a Giovannino piacevano più i fatti che le parole…

Certo, Mondo Piccolo è un luogo fantastico, ma non  un mondo impossibile impossibile: dentro c’è solo un’umanità che non ha ancora perso i riferimenti e, quand’anche sbaglia, è capace di comprendere e di “redimersi”.

L’ambiente in cui i miei personaggi operano è il mio paese. E’ la Bassa. Alla Bassa, dove il sole d’estate spacca la testa alla gente, e dove, d’inverno, non si capisce più quale sia il paese e quale il cimitero… Alla Bassa, dove le strade sono lunghe e diritte, da una parte c’è l’alba e dall’altra il tramonto, piacciono i tipi con una fisionomia precisa, facili da amare e facili da odiare“.

Non è l’utopia che Guareschi rincorre, ma una società nella quale il rispetto dell’uomo e delle regole che Dio ha dato, siano i fondamenti della vita pubblica e privata. Una società solidale, possibilmente non prigioniera delle ideologie e dei condizionamenti, una società di uomini “liberi” da tutto meno che dalle loro coscienze verso le quali vuole sia data l’attenzione che merita.

Una società che non mistifichi il giusto per l’ingiusto e dove “bene” e “male” siano ben chiari per chiunque, anche per chi sceglie quest’ultimo affinché lo faccia con consapevolezza e non fuorviato da un lassismo di comodo…

Avrebbe continuato a difendere l’individuo dalla massificazione, a ricordare che ognuno è responsabile delle sue scelte, a combattere per rimanere sempre spiritualmente liberi di rifiutare i bisogni fasulli che il consumismo crea, a seguire la propria coscienza e a difendere la natura, bene che si deve salvaguardare per i posteri” ci dice uno dei figli nella nostra intervista quando gli chiediamo cosa avrebbe fatto Giovannino in questa società nella quale viviamo.

O giovani – scrive Guareschi – diffidate di chi vi sorride e vi dà importanza eccezionale. Vuole rifilarvi un giornale, un libro, un disco, una rivista pornografica, un intruglio gasato, una chitarra, un allucinogeno, una pillola, una scheda elettorale, un cartello, un manganello, un mitra. Protesto perché sono stato giovane e buggerato come saranno immancabilmente buggerati i giovani d’oggi…”.
Una società dove si possa dire, abbattendo facili quanto inutili retoriche populiste che: “La povertà è una disgrazia, non un merito. Non basta essere poveri per essere giusti. E non è vero che i poveri abbiano solo diritti e i ricchi solo doveri: davanti a Dio tutti gli uomini hanno solo dei doveri” (Cfr. Don Camillo e i giovani d’oggi, Rizzoli 1969).

Ciò che proprio non desiderava è una società dove: “Portata la barca nella lenta corrente del conformismo, gli italiani hanno mollato i remi e si lasciano trasportare godendosi il sole, l’azzurro del cielo e lo scintillio delle acque placide del mare. Si naviga come sul velluto, mentre la TV di bordo ci rallegra sgranando raffiche di sorrisi e di canzoni. L’italiano, come lo struzzo, ha nascosto la testa nella sabbia, ma il suo tondo ma poco rispettabile sedere è rimasto in superficie a contatto diretto della realtà. Quando una proditoria pedata turberà l’ottimismo di quel sedere, sarà troppo tardi. E converrà forse all’italiano di rimanere con la testa dentro la sabbia. Non sarà che la pedata è già arrivata e non ce ne siamo accorti?”.   (Cfr. rubrica Il Bel Paese del 10 maggio 1959)

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Questo è il Giovannino Guareschi che ho conosciuto ed amato, colui che, di fronte all’ingiusta e clamorosa condanna per diffamazione a mezzo stampa nel processo De Gasperi, ha saputo polemicamente descriversi come: “Monarchico in una repubblica; di destra in un paese che cammina decisamente, inflessibilmente verso sinistra; sostenitore dell’iniziativa privata in tempi di statalismo, assertore di italianità in tempi di antinazionalismo; cattolico intransigente in tempi di democristianismo, io non sono stato – come poteva sembrare – un indipendente, bensì un anarchico. Non un uomo libero, ma un sovversivo. E perciò è giusto che mi venga tolta la parola e la libertà“.

Lo stesso Giovannino che, molti anni prima, aveva scritto con rara sapienza e lucidità: “Liberiamoci dalla parte peggiore di noi stessi, guardiamoci allo specchio e ridiamo della nostra tracotanza, del nostro barocco messianismo, della nostra retorica. Guardiamoci allo specchio dell’umorismo, così come ho fatto tante volte io, cittadino-niente, che, quando mi specchio e vedo sul mio viso un truce cipiglio, scuoto il capo e dico: Giovannino, quanto sei fesso”.

Lo stesso che ha saputo lasciarci pensieri come questo: “Bisogna sognare: aggrapparsi alla realtà con i nostri sogni, per non dimenticarci d’esser vivi. Bisogna sognare: e, nel sogno, ritroveremo valori che avevamo dimenticato, scopriremo valori ignorati, ravviseremo gli errori del nostro passato e la fisionomia del nostro avvenire”. (Cfr. Diario clandestino 1943-1945, Rizzoli)

Vorrei soffermarmi su un racconto che, per i suoi molteplici contenuti, è rimasto tra quelli maggiormente cari al mio cuore: parlo dell’Angelo del 1200, contenuto nel volume Don Camillo e il suo gregge (cfr. Rizzoli, 1953), secondo volume della tetralogia di Don Camillo che nel 1954 vinse il “Premio Bancarella”.

E’ un racconto intenso, come molti di questa fortunata serie nata nel dicembre del 1945 sulle pagine del Candido fondato e diretto proprio da Guareschi: come sempre il pretesto è semplice, quasi banale.

Morì il vecchio Bassini e sul suo testamento c’era scritto: Lascio tutto all’arciprete perché faccia indorare l’angelo del campanile, così luccica e di lassù posso capire dov’è il mio paese”.

Quell’angelo in cima alla torre ignorato da tutti, viene identificato da un esperto, salito per valutare l’importo dell’operazione di doratura, come “…un Arcangelo Gabriele in rame martellato. Una bellezza straordinaria. Roba autentica del 1200!

Da lì l’inizio del “calvario”: le foto, l’articolo sul giornale, i “pezzi grossi” della città e dell’arcivescovado in pellegrinaggio a quel monumento che nessuno aveva mai preso in considerazione, per giungere alla conclusione che “sarebbe stato un vero delitto lasciare lassù, a rovinarsi alle intemperie, quel prezioso capolavoro, che il patrimonio artistico appartiene alla cultura e alla civiltà e quindi deve essere tutelato e via discorrendo (…) Il paese stesso avrebbe potuto acquistare, grazie all’angelo, un’attrattiva turistica qualora l’angelo fosse stato sistemato in luogo accessibile. Quale innamorato delle cose artistiche si sarebbe mosso per recarsi in un remoto paese della Bassa a guardarsi, dalla piazza, una statua ficcata in cima a un campanile?

Se non volevano che fosse portato via dal paese, che almeno: “Si portasse l’angelo nell’interno della chiesa, si facesse un calco e, quindi, un’esattissima copia da collocare, convenientemente dorata, in cima al campanile…

Una logica stringente alla quale, pur con mille mal di pancia, Don Camillo deve dare atto. Dorati entrambi, la copia viene issata sul campanile e l’originale collocato in chiesa. Ma per Don Camillo esiste qualcosa di più importante del turismo, dell’economia, della pubblicità; ci sono cose che hanno un valore incommensurabile ma che sfuggono alla logica di una umanità troppo centrata su se stessa.

L’angelo era dentro la nicchia, protetto da un glande cristallo incorniciato che poteva essere aperto. Don Camillo trasse in fretta di tasca la chiavetta e aperse il cristallo. Un angelo abituato a vivere lassù, come poteva rimanere chiuso dentro quella scatola? Gli pareva che dovesse mancar l’aria all’angelo. Gli venne in mente il vecchio Bassini: «Lascio tutto all’arciprete perché faccia indorare l’angelo del campanile, così luccica e di lassù posso capire dov’è il mio paese». Di lassù il vecchio Bassini non vede luccicare il suo angelo – pensò don Camillo – Vede luccicare un angelo falso. Egli voleva vedere luccicare questo qui…. Gli venne lo sgomento: perché ingannare il vecchio Bassini?

Ecco il primo punto di riflessione: la fedeltà, in questo caso alla parola data ad un uomo che è morto. Il valore di quell’uomo, seppure estinto, è per Guareschi, attraverso Don Camillo, infinitamente più grande di ogni logica economica. Il mondo dei vivi e dei morti dialoga e vive in un unico universo dove i valori devono essere uguali e le regole rispettate.

Ma c’è qualcosa che va ancora oltre questa già grande cosa, qualcosa di imponderabile e allo stesso tempo fondamentale. Rivolgendosi a quell’Angelo prigioniero nella teca, Don Camillo non può fare a meno di dire: “Per trecento anni tu hai guardato questi campi e questa gente. Per trecento anni tu, silenzioso, hai vegliato su questa terra e su questi uomini. forse per settecento anni perché, magari, questa chiesa è sorta sulle rovine di una vecchissima chiesa. Ci hai salvato dalle guerre, dalla fame, dalla peste. Quanti fulmini hai respinto lontano? Quante bufere hai fugato? Da trecento anni, forse da settecento, hai dato l’ultimo saluto del paese alle anime dei morti che salivano al cielo. Le tue ali hanno vibrato al suono di tutte le campane: campane tristi, campane liete. Secoli di gioie e di dolori sono chiusi nel tuo metallo. E adesso tu sei qui, senz’aria, in una gabbia dorata e non vedrai più il sole e non vedrai più il cielo azzurro”.

Ecco l’anima di Guareschi, ecco la sua grandiosa anima che illumina il pensiero dell’uomo per ricordargli di non essere solo materia e superficialità. E’ un’esplosione che mette all’angolo e obbliga ad abbandonare, seppure per l’attimo della lettura di queste parole, ogni logica “moderna” per ritrovare, da qualche parte, quella parte di noi che risuona a quelle parole.

Ma Giovannino non si ferma: “… al tuo posto c’è un angelo falso che viene da Sesto San Giovanni e porta chiusa nel suo metallo solo l’eco delle bestemmie dei fonditori avvelenati dalla politica. E quell’angelo falso ha usurpato il tuo posto. Un uomo illuminato dalla fede ha forgiato a colpi di martello il tuo metallo, lo ha modellato millimetro per millimetro; macchine mostruose ed empie hanno creato l’altro che è identico a te, ma, mentre in ogni millimetro quadrato del tuo metallo c’è un po’ della fede dell’ignoto artigiano del 1200, nel metallo dell’altro c’è solo la fredda empietà della macchina. Come potrà proteggerci quello spietato e indifferente angelo falso? Cosa gli può importare dei nostri campi e della nostra gente? ”.

La radice antica di una Fede che è il legame tra gli uomini, tra le generazioni, tra i luoghi; una fede solare, aperta, naturale; una fede semplice e immensa che rende gli uomini più vicini a Dio, a quel Creatore che dialoga con le sue creature attraverso quelle piccole cose della quotidianità, proprio quelle che la società moderna e disincantata rifiuta o deride.

Parole che sconvolgono e che mettono i brividi: quell’angelo è improvvisamente accanto a noi o noi ci troviamo catapultati nel “Mondo piccolo” di don Camillo e cominciamo a capire….

Capiamo meglio come le sue parole: “È qui, su questo pianeta, che il Figlio di Dio ha voluto nascere, soffrire e morire come Uomo. Qui sono il nostro passato e il nostro avvenire e qui – non sulla Luna – bisogna cercare la soluzione dei nostri problemi”, tratte da un dialogo de “La rabbia”, il film del 1963 in cui si confrontavano Pier Paolo Pasolini e lo stesso Guareschi, significhino per il nostro Autore un impegno concreto e costante nella realtà in cui viviamo forti di questo legame che la fede ci offre con il Creatore.

E quand’anche il nostro essere uomini ci può far sentire soli e fragili: “Gli uomini oggi vagano sfiduciati, ognuno al fioco lume della propria lampada, e tutto sembra loro buio intorno e triste e malinconico e, non potendo illuminare l’ insieme, si aggrappano al minuto particolare cavato fuori dall’ ombra dal loro pallido lume…” , ecco che è la voce del Cristo che viene a darci la parola di conforto e a mostrarci la via giusta: “Intendimi Don Camillo, non esistono le idee: esiste una sola idea, una sola Verità che è l’insieme di mille e mille parti. Ma essi non la possono vedere più. Le idee non sono finite perché una sola idea esiste ed è eterna: ma bisogna che ognuno torni indietro e si ritrovi con gli altri al centro della immensa sala.” (cfr. La lampada e la luce in

Per questo non posso fare a meno di parlare di Guareschi: leggerlo e rileggerlo è un modo per attingere ad una fonte inesauribile capace ogni volta di regalare meraviglie e sorprese; scriverne è un bisogno e un piacere. Il nuovo millennio ci vede sempre più prigionieri di logiche egoistiche e, senza che ce ne rendiamo pienamente conto, autolesioniste mentre intorno a noi la finanza gioca con la vita delle famiglie e la politica da segni di una follia senza ritorno. In un incomprensibile gioco al massacro, si continuano a perpetrare violenze e femminicidi mentre l’onda lunga di una sfiducia esistenziale si abbatte sulle nuove generazioni privandole di quelle speranze che tanto hanno contribuito a realizzare opere encomiabili.

Occorre, come giustamente dice il Cristo a Don Camillo, “che ognuno torni indietro e si ritrovi con gli altri al centro della immensa sala” ma per far questo talvolta penso che occorra un miracolo e siccome ai miracoli credo, ma con prudenza, ritengo che leggere e scrivere su ciò che ci ha lasciato Giovannino possa essere un ottimo strumento per rendere più possibili questi miracoli.

 

Stefano Mecenate

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