Per chi si occupa di letteratura Erika Mann non sarà certamente il nome di una sconosciuta. Il nome della figlia maggiore di Thomas Mann viene spesse volte citato in concomitanza di temi riguardanti il padre. Ciò nonostante mi pare utile dare dei brevi cenni biografici su Erika. Erika inizialmente lavorò come giornalista e attrice, finchè nel 1933, seguendo le tendenze artistiche dell’epoca- fondò, assieme a Therese Giehse il Cabaret “Pfeffermühle”. Pochi mesi dopo vaer fondato la compagnia, la situazione politica escalò in maniera fulminante, al punto che decise di andare in esilio con il suo gruppo teatrale. Dal 1936 visse prevalentemente negli Stati Uniti. Lì fungeva da corrispodente dalla Germania per la BBC. In Europa tornò solo nel 1952 per morire, 17 anni dopo,a Zurigo.
Nel libro Mein Vater, der Zauberer (= Mio padre, il mago) sono stati raccolti pensieri, lettere, pagine di diario tutte impuntate a delineare il rapporto di intensa e fruttuosa collaborazione che esisteva tra questa coppia singolare. Il titolo non è stato posto a caso: infatti pare voler ricreare in un’aura magica l’ambiente che circondava Thomas Mann. Si ricorderà che i termini “magia/magico/mago” sono quasi simbolici per Mann. Ricordiamo il racconto Mario e il mago , il romanzo ponderoso La montagna incantata ed anche un altro libro di critica puublicato qualche anno fa in Italia dal titolo I maghi ignari e dedicato ai due fratelli Mann.
In un articolo sulla Münchner Illustrierte del 2 Ottobre 1954, Erika Mann dichiara che è stata lei, assieme agli altri fratelli, ad attribuire al padre l’appellativo der Zauberer (=il mago), senza una ragione ben precisa. Forse perchè Thomas Mann, è rimasto sempre un brav’uomo nonostante tutte le traversie occorsegli, quasi in maniera magica. L’appellativo ricorre anche in una lettera che Erika scrisse al padre dalla scuola di Hochwaldhausen il 6 Giugno 1922. Lo stesso Thomas firmava le sue lettere, o meglio dire le siglava con Z. (Zauberer).
In uno primo mento si sarebbe portati a pensare che il volume su citato sia un romanzo autobiografico, in cui Erika Mann traspone letterariamente i ricordi del padre che le sono rimasti, lasciandosi magari anche trasportare da qualche volo di fantasia. Il lettore, però, rimane piacevolmente sorpreso, perchè giungerà a conoscenza sì di particolari inediti, ma non (solo) attraverso ricordi, bensì per mezzo di lettere, saggi, commenti e appunti, appartenuti sia al padre che a lei stessa. Il tutto poi non è preceduto dalla solita prefazione, ma dalla trascrizione di un’intervista radiofonica che la Mann diede a Roswitha Smalenbach nel 1968. Questa intervista si presenta come un’introduzione particolare per una raccolta altrettanto particolare.
Il punto a cui ruota tutto il libro è la relazione padre-figlia. Che cosa c’era di così speciale tra i due? Egli la chiamava la sua bimba meravigliosamente impavida. Ogni volta che si presentava un problema egli si rivolgeva a lei, convinto che ella fosse in grado di risolvere la questione dando il giusto sale alla vita.
Dal libro si evince, senza alcun dubbio, quanto ella fosse importante per lui; si potrebbe azzardare a dire che ella fosse la sua figlia preferita, che lo ha accompagnato nelle tappe più importanti della sua vita. Questo aspetto viene anche confermato dall’originale appendice fotografica, tra cui vi è la foto del conferimento della Laurea ad Honorem a Thomas Mann da parte dell’Università di Oxford. E’ invece meno risaputa la forte influenza che Erika aveva sul padre: nel 1933, per esempio, quando Thomas era titubante riguardo al dichirarsi a favore del movimento anotnazista, fu Erika a sciogliergli i dubbi, dicendogli che si poteva essere insoddisfatti della propria patria se questa si comportava da madre snaturata.
Quando nel 1938 Thomas lasciò l’Europa, scegliendo gli Stati Uniti coem meta del suo esilio, è stata sempre lei che lo ha aiutato ad ambientarsi nel “modus vivendi” del nuovo continente. Toccanti sono a questo proposito le lettere e gli appunti in cui si racconta il precario stato economico della famigia Mann, mai lasciato però trapelare all’esterno.
E’ sicuramente un Thomas non usuale quello che si lascia andare alle questioni quotidiane, come lo è per esempio quella della carenza del cibo.
Nell’ultimo decennio della vita di Thomas, Erika diventa per lui la collaboratrice più stretta: Erika era informata sullo stadio dei suoi lavori e correggeva le sue bozze, organizzava le conferenze e si occupava dei contratti. Inoltre sopraintendeva anche alla resa filmica dei suoi romanzi. Non è fuori luogo ricordare che anche ella ebbe una piccola parte in una di queste trasposizioni e precisamente in Felix Krull, dove impersonava la cameriera.
Un caro amico di famiglia, il dirigente Bruno Walter, affermò che non si era mai vista una relazione padre-figlia più bella, più viva e più fruttuosa. Ed è proprio la storia di questa relazione che viene narrata in questo volume, che riporta anche le affermazioni ed i commenti di Erika sul padre. I numerosi saggi e le lettere- molte delle quali sono inedite- dipingono una quadro particolare di Thomas Mann: il ritratto di uno scrittore, possibile solo dal punto di vista di una persona che gli stava veramente molto vicino.
Il libro però non risulta di apporto determinante per la critica letteraria, perchè sembra voler annullare quell’aura di mistero e diritto alla privacy, che competerebbe a chiunque, anche se comunque aiuta a conoscere meglio il retroscena in cui visse ed operò Thomas Mann.
Bigliografia:
E. Mann Mein Vater, der Zauberer, Reinbeck bei Hamburg 1996