ERICH MÜHSAM E LE DONNE: AMORE-ODIO DI UN ANARCHICO NEL PERIODO DEL LIBERO AMORE

Anche se la questione femminile occupa nell’opera di Mühsam solo una parte marginale, non merita per questo uno scarso interesse. Nella concezione sociopolitica dei primi del Novecento (ed anche in quella di Mühsam) il termine “essere umano” veniva attribuito nella sua interezza esclusivamente a individui di sesso maschile, ed è proprio per questo che quel poco che c’è riguardo la questione femminile, ci può far capire come gli uomini consideravano l’altro sesso. In quest’ottica dunque si deve cercare di intendere, sempre facendo riferimento al clima della bohème in cui le ballate furono concepite, il modo in cui Mühsam raffigurò il rapporto tra l’uomo e la donna. È il periodo in cui la donna cerca di abbandonare il lavoro in casa per cercarlo fuori, anche se mal retribuito e questo per un crescente bisogno delle donne di autonomia, che è dunque autonomia sociale prima ancora di essere autonomia economica. Questo comportamento veniva rafforzato dal rifiuto sempre più accentuato delle donne di restare sottomesse alla dispotica autorità paterna. È noto che queste istanze portarono al dilagare dei movimenti femministi alla fine dell’Ottocento, all’aumento del numero delle donne iscritte all’università e alla diminuzione del tasso delle nascite. La posizione di Mühsam sul problema delle donne sembra muoversi su due piani distinti: da un lato si ravvisa una reazione, quasi una difesa dell’uomo e sua egemonia contro gli attacchi delle femministe; dall’altro emerge evidente la preesistenza del cosiddetto “culto della madre”. Questo derivava direttamente dall’ottica “determinista”, nella quale venivano intesi i due sessi e ancor più, i rapporti fra i sessi. L’uomo e la donna venivano al mondo con diverse destinazioni e capacità biologiche che, se negate o trascurate, mettevano in pericolo la perpetuazione del genere umano stesso. Ciò obbligava quindi anche a prendere atto di capacità e possibilità diverse per l’uomo e per la donna ed è ovvio che fosse quest’ultima a venire circoscritta in un ambito ridotto. Si parlava di “biologische Aufgabe”, di compiti biologici e quello della donna si riduceva quasi esclusivamente alla maternità, unico status nel quale la donna poteva realizzarsi completamente. La donna era sì dotata di sentimento, della voce del cuore, ma non di capacità di riflessione e di logica, quindi di intelletto; è per questo che doveva occuparsi delle mansioni domestiche piuttosto che intraprendere qualcosa per cambiare la sua posizione e quindi destinazione biologica. Perciò solo gli uomini erano adatti a cimentarsi nelle faccende pubbliche come la politica, la cultura ed il lavoro retribuito, mentre le donne venivano relegate nella sfera privata ad occuparsi di economia domestica e dell’educazione dei figli. La “lotta dei sessi”, come già ricordava Nietzsche, era antica come il mondo. È però utile ricordare che la misoginia non era un fenomeno nuovo dell’età guglielmina, ma sul finire dell’Ottocento riemerse con particolare virulenza, proprio perché il movimento femminista cominciò a crescere e reclutare elementi sempre più consapevoli e agguerriti. Si tenta così, basandosi sulla teoria del determinismo, di dimostrare la supremazia dell’uomo in maniera scientifica. Il risultato è scontato: finché le donne espletavano il ruolo di madri e di mogli in modo esemplare, come cioè era stato stabilito dall’ordine sociale patriarcale, esse venivano glorificate; altrimenti venivano rappresentate come esseri sonnolenti, morenti, malaticci, e innamorati della propria immagine o come mostri divoratori di uomini ammaliati, vampiri assetati di sangue, esseri desiderosi di impadronirsi di ogni parte del corpo maschile. In questo humus nacquero Salomè, Lulu o altre figure di donne-demoni, donne-streghe. Proprio quest’ultima tipizzazione è quella che troveremo anche in Mühsam. Perché Mühsam non elogia mai le donne che cercano di impegnarsi politicamente? I suoi elogi vanno a donne che credono di aver trovato la propria felicità solo nell’essere madri o mogli. Con ciò non voglio affermare che non ci possano essere donne che si sentano completate dalla maternità o dall’essere mogli, ma non bisogna dimenticare che c’erano, e ci sono tuttora, donne che vogliono cimentarsi in nuovi campi, per cercare un equilibrio interiore o per dimostrare al mondo di non essere solo delle incubatrici. Di questo tipo di donna Mühsam ha un’idea molto negativa: afferma infatti che se si vuole la rovina dello stato lo si deve affidare solo alle donne; facevano bene gli antichi a relegare le donne nel ruolo di spettatrici. In un articolo pubblicato su “Der Anarchist” stigmatizza in maniera molto dura la presenza perniciosa delle donne che facevano parte della Neue Gemeinschaft, l’associazione affiliata della cerchia di Berlin Friedrichshagen. Nelle composizioni liriche del primo periodo, vi è una rappresentazione negativa della donna sottolineata ed insistita, che conferma i parametri nei quali l’iconografia del tempo iscriveva la donna di piacere. Mühsam la paragona sovente a figure mitologiche come Salomé e Circe. In queste composizioni, la donna è infatti intesa dall’io maschile del poeta solo ed esclusivamente in rapporto alla sua fisicità e alla sua sessualità. Anche le composizioni da cabaret, le semplici poesie del volume Krater, che narrano del destino di donne spacciate dal punto di vista sociale non solo si rifanno alle composizioni simili di Wedekind e di von Liliencron, ma assieme alle composizioni dichiaratamente misogine, riescono benissimo a descrivere il rapporto che all’epoca esisteva tra i sessi. Vi è una donna che ha scambiato la propria voglia di soddisfazione sessuale per amore, che incomincia con la disperata situazione dell’io narrante bisognoso di uscire dalla “Fadheit” (tristezza vuota ed effimera) in cui lo ha chiuso il mondo. L’unica soluzione apparentemente plausibile è quella di accompagnarsi ad una donna di facili costumi per dare uno sfogo al suo rancore al suo odio per il mondo. Ma poi la sordità del mondo delle donne di strada per i drammi della gente, la loro abitudine a considerare l’amore un commercio, la loro insensibilità e disumanità, fa diventare l’io narrante ancora più turpe, fino ad uccidere la prostituta. La donna qui era vista quasi come una figura diabolica, una figura che racchiudeva in sé tutte le caratteristiche negative del mondo: la lussuria, l’indifferenza che cercava di sopraffare e di appropriarsi della debolezza degli altri. La donna può anche assumere un aspetto ributtante, non solo dal punto di vista morale, ma anche da quello fisico. La donna non si accontenta solo di abbandonarsi alla lussuria, ma vuole impadronirsi completamente anche del corpo dell’amante occasionale; come infatti aveva già fatto Pentesilea nell’omonima opera di Kleist, morde di baci il suo amante per averlo completamente per sé. La donna, quindi, si tramuta in bestia, una bestia che vuole divorare la sua preda e che cominci, a caso, proprio dal cuore. Il cuore è il centro per eccellenza del “nobile sentimento dell’amore”, e distruggerlo significa andare contro la sacralità dell’amore. Più in là Mühsam definisce la donna una prostituta infernale, che al ritmo dettato da Satana mostra le sue demoniache bellezze per stordire. Che la misoginia di Mühsam trovi riscontro nelle concezioni a lui contemporanee, risulta evidente non solo dal fatto che faccia riferimenti a filosofi misogini della passato come Schopenhauer, von Hartmann e Nietzsche, ma anche alle osservazioni di personaggi della bohème come Magnus Hirschfeld, Benedikt Friedländer, Julius Hart, Paul Scheerbart, Karl Kraus o Otto Weininger. I nomi di Hirschfeld e Friedländer richiamano alla mente anche altri fenomeni della bohème, che ebbero un peso determinante sulla formazione della concezione di Mühsam delle donne e della loro emancipazione: il cosiddetto “movimento erotico”. I componenti di questo movimento, principalmente uomini, sottolineavano l’importanza liberatrice del cosiddetto “libertinaggio erotico”. Questo libertinaggio, non era solo – come invece lo concepiva Hirschfeld – una risposta alla precedente repressione sessuale, era invece una consapevole rottura degli schemi comportamentali della società guglielmina, un modo per rifiutare ed infrangere tutto un contesto sociale. “Ebater la bougeousie!” era uno dei gridi di battaglia della bohème e il libertinaggio erotico poteva servire per mettere in forse le salde strutture del mondo guglielmino: da un lato si rifiutava il fariseismo sociale proferito ai tedeschi da Guglielmo II e dall’altro si mettevano in crisi i principi morali diffusi dalla chiesa. Ciò significava aggredire le fondamenta di quel sodalizio che fu l’alternanza di trono e altare in Germania. La lettura delle ballate avvalora legittimamente il dubbio che esse non siano unicamente una manifestazione di compiacimento misogino, bensì contengano un’esplicita denuncia sociale e la descrizione di donne emarginata sia in primo luogo una critica alla morale. Se è vero che gli spettatori del cabaret, per il cui divertimento le ballate erano state concepite, erano principalmente uomini il cui comportamento, non raramente, coincideva con quello degli uomini descritti nei versi, è vero anche che le donne in esse non sono demonizzate, anzi descritte con vicinanza umana e spesso con grande dolcezza, per cui la denuncia sociale o la critica alla morale guglielmina emergono con particolare evidenza. Nel periodo che va dal 1910 al 1913 Mühsam scrisse diversi saggi sulle donne e sui loro diritti, con i quali in realtà si intendevano solo i diritti delle donne madri. Questi scritti sono finalizzati alla distinzione delle sfere di appartenenza dell’uomo e della donna; secondo la morale patriarcale del periodo la donna era destinata alla sfera domestica, cioè ad eseguire tutti i lavori casalinghi e a diventare madri per amore. Il desiderio di autonomia della donna è, secondo Mühsam, colpa del capitalismo. È in questo contesto che riappare anche il diritto alla maternità, che per Mühsam è semplicemente il diritto di scegliere con chi e quando si vuole fare un figlio. La donna, in fin dei conti, è libera di agire solo nell’ambito della propria natura; ribellarsi al conformismo, è cercare di trovare un’identità indipendente dalla sfera familiare e quindi fare un atto contro natura. Tutto è finalizzato a dimostrare che il lavoro santo (!) della donna è quello di mettere al mondo dei bambini. Tuttavia, rispetto alle poesie ed alle ballate, Mühsam non si accontenta adesso solo di deridere le femministe; cerca piuttosto di trovare una specie di teoria alternativa dell’emancipazione della donna. Per questo spostamento dell’ottica ci possono essere diverse cause, delle quali una potrebbe essere il suo trasferimento a München/Schwabing, il quartiere bohémien bavarese. Era caratteristico per Schwabing, a differenza di altri centri della bohéme come Berlino e Vienna, che per alcune donne era possibile riuscire a conquistarsi una posizione all’interno del movimento, come per esempio Franziska zu Reventlow, denominata “regina della bohéme”. Il modello su cui Mühsam sviluppa la sua teoria è proprio lei, perché con il suo modo di vivere non puritano, l’accentuazione della propria femminilità e la sua voluta maternità extraconiugale, si manteneva entro il limite prefisso del determinismo biologico e riuscendo a realizzarsi pienamente in esso. È importante ricordare che la Reventlow non veniva considerata una donna autonoma solo da Mühsam, ma nella cerchia di Schwabing aveva la fama di essere un idolo vivente, e più precisamente nella “Kosmische Runde cui facevano parte anche Stefan George, Ludwig Klages e Karl Wolfskehl. Questo gruppo, ispirato da Bachhofen cercava di rivitalizzare il primordiale diritto alla maternità: miravano cioè a ricreare una specie di società primordiale basata sul culto dionisiaco, in cui la Reventlow primeggiasse. La loro idea fu raccolta e rielaborata dallo psicanalista austriaco Otto Gross, una sorta di predecessore di Wilhelm Reich, che era dell’idea che i disagi sociali del tempo derivassero dalla morale sessuale allora in vigore che impediva alle donne di godere di un certo margine di libertà. Per sconfiggere dunque la miseria social-psicologica Gross proponeva l’eliminazione della restrizioni sessuali e, perché no, anche del §175, cioè del matrimonio civile perché altrimenti si continuerebbe nel disagio sociale. Anche Mühsam risentirà molto dell’influenza di Gross, a volte utilizza perfino lo stesso vocabolario. Un altro influsso Mühsam lo ricevette da Helene Stöcking, fondatrice del “Bund für Mütterschutze”, anche se poi tutto degenererà in sana antipatia. Un rapporto diverso si instaurerà con la femminista svizzera Margarethe Faas che si impegnava per ottenere una morale sessuale più libera e il diritto al divorzio. Una posizione questa che lo portò in conflitto nel 1909, con Gustav Landauer, con il quale collaborava alla redazione del bollettino del “sozialistische Bund”. Landauer difendeva la posizione da lui stessa definita conservatrice del matrimonio come entità indissolubile, eterna, destinata a diventare la pietra d’angolo nella costruzione di una futura società socialista. Conseguentemente Landauer era contro qualsiasi azione che mirasse alla liberalizzazione della morale sessuale a della rottura del matrimonio, azioni che venivano promosse principalmente dal movimento erotico e non solo da questo. Il conflitto fra Landauer e Faas, venne ripetuto circa un anno dopo fra Landauer e Mühsam. Da quanto riportato risulta evidente che Mühsam non era, come l’aveva definito Jungblut, “ein Kämpfer gegen seine Zeit” (un combattente contro il suo tempo), in tutti i sensi; sarà stato rivoluzionario nella concezione politica, ma le sue idee sulle donne e sulla loro emancipazione sono ancora impregnate di patriarcalismo: la donna vista come “incubatrice”, il cui unico desiderio è mettere al mondo dei bambini e allevarli. Un aspetto che purtroppo è stato molto trascurato dalla critica. Notizie biogtafiche Erich Mühsam (1878-1934) è il quarto figlio del farmacista Siegfried Seligman; già nel 1886 pubblica un articolo di critica al preside della sua scuola, che gli procura una sospensione per “istigazione alle sommosse”. In un primo momento inizia un periodo di apprendistato come farmacista e poi nel 1900 si trasferisce a Berlino, entrando a far parte di diverse cerchie letterarie e politiche. Durante i suoi anni errabondi per l’Europa, starà tra l’altro anche nella colonia del Monte Verità in Svizzera. Inizia a pubblicare le prime raccolte di poesie Die Wüste ed alcune delle sue opere teatrali. Nel 1909 si trasferisce a Monaco dove approfondisce la sua amicizia con Heinrich Mann ed inizia la pubblicazione del suo giornale KAIN: Zeitschrift für die Menschlichkeit, che interromperà allo scoppio della guerra nel 1914. Nel 1918/19 partecipa attivamente alla costituzione della Repubblica monacense e viene condannato a 15 anni di carcere per alto tradimento. Dopo il suo rilascio nel 1924 si trasferisce a Berlino, collaborando con la ROTE HILFE e pubblicando il giornale Fanal. Nel 1933 riassume le sue convinzioni politiche nel saggio Die Befreiung der Gesellschaft vom Staat ed il 28 febbraio dello stesso anno viene arrestato. Nel 1934 viene trasferito nel Lager di Oranienburg, dove viene crudelmente maltrattato, finché nella notte tra il 9 ed il 10 luglio, viene ucciso da agenti delle SS, che tentano di mascherare il tutto come suicidio.
Bibliografia:
Gnüg H. Frauen. Literaturgeschichte, 1985 Stuttgart
Green Martin The von Richthofen Sisters, 1974 New York
Hirschfeld M. Sittengeschichte des Weltkrieges, 1930 Liepzig/Wien
Köhnen D. Erich Mühsam, Wiesbaden 1981
Michaels, J.E. Anarchie and Eros. Otto Gross’s impact on German expressionist writers, 1979 Berlin/New York/Frankfurt am Main
Mühsam Erich Kultur und Frauenbewegung in Fanal 1905-1932, 1989 Berlin
Mühsam Erich Namen und Menschen, 1974 Berlin
Mühsam Erich Sammlung, 1974 Berlin
van den Berg H. Über Erich Mühsam. Überlegungen zur Frauenfrage in Schriften der Erich Mühsam Gesellschaft, 4 1994 Lübeck

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