L’italia è il paese in Europa a cui vengono portati via più bambini dai genitori stranieri, che, purtroppo, non rientrano poi più.
Sara nasce e cresce a Genova, dove si laurea con lode in Biologia e Scienze della comunicazione. Nel 2010 esce per un piccolo editore il suo primo romanzo Sulla sedia sbagliata. Nel 2011 scrive il suo secondo romanzo Un uso qualunque di te, che ben presto scala le classifiche e diventa un fenomeno del passaparola. Non volare via è il suo primo romanzo pubblicato con Garzanti e proprio il romanzo che è valso il Premio bancarella 2015. L’abbiamo incontrata per voi.
Nel tuo romanzo ci sono diverse citazioni di padri e madri a cui sono stati sottratti dei bambini, che compaiono in diversi momenti del romanzo. Come è nata questa decisione e quanto tempo hai investito in questa ricerca?
Io ho frequentato l’associazione Figli sottratti, che è un’associazione di genitori a cui sono stati portati via i figli e che ha lo scopo sia di aiutarsi a vicenda, ma anche di accogliere e stare al fianco delle nuove persone che si trovano in questa situazione spiacevole, simile a un vicolo cieco o a un vuoto legislativo, aiutandoli a fare i passi giusti.
Il tempo, in questi casi è la cosa più preziosa e bisogna davvero sapere cosa fare e come organizzarsi. Essendo, infatti, a tutti gli effetti, un vuoto legislativo, bisogna avere degli avvocati esperti sia nella legislazione italiana che in quella del paese straniero di riferimento.
Frequentando le persone dell’associazione, come sarà facile capire, le storie non sono mancate. I casi denunciati sono tra i 200 e i 300, ma è chiaro che sono valori sottostimati. Soprattutto le donne, vittime di sottrazione di minori da parte di genitori provenienti dai paesi arabi, non effettuano denunce per paura che possa capitare qualcosa al figlio o alla figlia. Mi sono resa così conto che di storie ce ne erano veramente tantissime e che il padre, che è stato ispirazione del mio romanzo, non era semplicemente una persona sfortunata ma l’apice di una situazione molto più grave.
Con le citazioni che ho scelto volevo dare una sorta di equilibrio, raccontando storie con minime differenze, di altri paesi, per far capire che il mio romanzo non è una guerra contro la Danimarca (il paese di origine della madre che ha sottratto la figlia al protagonista), bensì una denuncia della situazione attuale.
Il romanzo è impostato su una doppia prospettiva: quasi un doppio diario/dialogo tra Francesco (il padre) e Margherita (la figlia). Perché questa forma narrativa?
Francesco ho cercato di raccontarlo come l’ho visto io, mentre la decisione di lasciar parlare Margherita nasce dalla necessità di capire cosa succede ai figli che, a lungo, devono convivere con le conseguenze delle azioni dei genitori. Quando si porta via un figlio spesso si è convinti di fare la cosa giusta, però, spesso non si indaga come reagiscono questi figli che vengono strappati ad un affetto importante, 10-15 anni dopo il fattaccio.
Margerita, come appare dal suo diario, è una ragazzina straordinaria che però incontra delle difficoltà maggiori nell’amare gli altri e nell’essere amata dagli altri: ha difficoltà nel diventare adulta.
Come hai detto Margherita è una bella ragazza, incosciente della propria bellezza, bulimica, nonché autolesionista. Perché?
Gli atteggiamenti di Margherita sono degli esempi di mancanza di amore, delle risposte all’insofferenza di vivere che hanno questi figli che, per prima cosa, non si sentono amati, convinti di trovarsi nel posto sbagliato. Scatta nei figli sottratti, la necessità di creare una storia credibile alla propria inadeguatezza di vivere, tra cui descrizioni di violenze in famiglia o simili. Basti considerare che il 93% dei casi di violenza denunciati che riguardano figli sottratti risultano infondati.
Ingrid ed Enrica: che funzione hanno?
Entrambi i personaggi mi servivano. Ingrid, a dire il vero, ha riferimenti reali e rispecchia la tata che ammortizza un po’ la lontananza e, allo stesso tempo, dà notizie di nascosto dalla madre etc.
Enrica, in realtà, è la classica donna che si innamora di un uomo da cui si dovrebbe stare alla larga, perché si tratta di un uomo che ha sofferto molto e che ha perso la fiducia. Invece di scappare a gambe levate, Enrica fa ciò che farebbe anche la quasi totalità delle donne, cioè ci si butta a capofitto con il solo intento di salvarlo. Sarà lei anche colei che riuscirà ad instaurare un rapporto forte con Margherita, trattandola da persona “normale”.
C’è stato un personaggio più difficile da plasmare?
Credo Margherita. Un po’ perché è stata una sintesi di studi forte, creata con una psicologa, con assistenti sociali, letture, storie genitori etc. Ho cercato di creare una figura molto meno tragica di quanto spesso appare nella realtà.
Prossimi progetti?
Il prossimo romanzo uscirà in primavera. Il tema questa volta, sempre, ahimè, reale è la violenza domestica. Tratto da una storia vera- ho fatto 500 km per incontrare la donna che ha ispirato la protagonista- mi permetterà di raccontare, da donna, il problema della violenza femminile.
Elisa Cutullè