(C) Harald Hoffman /Deutsche Grammophon
Ai Dresdner Musifestpiele di quest’anno si è esibita anche l’orchestra Vencie Baroque Orchestra, diretta da Andrea Marcon con la partecipazione del soprano Karina Gavin.
Nella splendida cornice della Frauenkirche, il pubblico è stato trasportato nel mondo di Vivaldi con diversi brani: concerto “ Per l’orchestra di Dresda” RV 577, concerto RV 566, Mottetto RV 631, concerto RV 564°, Mottetto RV 632 e concerto “Dedicato a Sua Altezza Reale di Sassonia” RV 576.
L’orchestra, fondata da Marcon nel 1997 è uno dei gruppi europei più importanti per la musica antica, che ha al suo attivo diverse tournee in Europa e negli Stati Uniti nonché diverse registrazioni di CD.
Abbiamo incontrato proprio Andrea Marcon per parlare con lui di Vivaldi , Dresda e musica.
Come è nato il concerto con composizioni di Vivaldi per questo festival musicale di Dresda?
Senza Vivaldi la storia della musica sarebbe stata completamente diversa: al sua musica è così specifica, dotata di certe caratteristiche che la distinguono immediatamente. Il violinista aveva la capacità di conferire una leggerezza e un’allegria alle sue interpretazioni non lasciando trasparire la difficoltà delle esecuzioni. Uffenbach, racconta l’effetto dell’assistere ad un concerto di Vivaldi e vederlo improvvisare una lunga cadenza per violino con la malino che saliva ad una tale velocità, quasi a toccare il ponticello e a non lasciare più spazio per l’arco. Ai limiti dell’impossibile insomma.
Vivaldi è, infatti, colui che ha inventato la cadenza musicale, sebbene fino a circa 30 anni fa se ne attribuiva la paternità a Bach.
Quello che abbiamo suonato durante la serata era tutta musica che Vivaldi ha scritto per Dresda o musica che è conservata solo a Dresda. Ai tempi di Vivaldi Dresda era un punto di riferimento musicale, non per nulla veniva chiamata la Firenze dell’Elba. Basta andare alle Gemäldegalerie per vedere una delle più belle collezioni al mondo di pittura italiana di maestri antichi.
Basta citare Pisendel, il virtuoso violinista più in auge nel periodo di Vivaldi, si reca a Venezia proprio per conoscere Vivaldi e rientrato in patria si fa spedire nuove composizioni da suonare in Germania. Anche lo stesso Bach amava la musica di Vivaldi: non solo la studio ma la trascrisse pure per organo, clavicembali e insiemi. Lipsia e Dresda erano sicuramente due centri in cui le opere di Vivaldi venivano suonate molto spesso.
Il luogo del vostro concerto è molto “speciale”: la Frauenkirche. Cosa ne pensi?
Per me suonare o dirigere alla Frauenkiche genera sempre un’emozione particolare. Nel 1985, io, povero studente in canna, sono venuta da Basilea a Dresda. A quei tempi un viaggio a Dresda era un’impresa: bisognava avere il visto, compilare una scheda in cui indicare dove si dormiva ogni sera e, se si faceva ritardo a rientrare in albergo, partivano le segnalazioni alla polizia. Era un clima pesante. Quello che ricordo era l’emozione di trovarsi di dronte alla Frauenkirche che era auna collina di mattoni, esattamente come il giorno successivo al bombardamento subito durante la Seconda Guerra Mondiale. C’era una sola parete verticale, alta probabilmente uan venitna di metri. C’era poi una lapida in marmo con delle scritte in ferro a futura memoria della violenza dell’uomo. Vedere questa chiesa rasa al suolo e con un immensa massa di mattoni, sono cose che non dimentichi facilmente. Dopo la caduta del muro sono tornato a Dresda per una produzione alla Semperoper (in cooperazione con la Regione Toscana) per l’Ulisse di Monteverdi. Erano trascorsi pochi anni dall’ultima volta, ma era stata già lanciata l’idea della ricostruzione. Mi ricordo che c’erano i cantieri che numeravano le pietre, come in un grande puzzle.
E proprio con la mia orchestra barocca abbiamo avuto il piacere di tenere uno dei concerti in occasione della ricostruzione e della riapertura della chiesa.
Oggi, come allora, esibirmi in questo luogo fa nascere sempre grandi emozioni.
Esibirsi in un luogo come questo va al di là di qualsiasi altro parametro: l’acustica non è ideale perché pensate per la liturgia. Ma se si riadatta l’interpretazione e si usano dei tempi più lenti, intonazioni più secche ovvero se l’interprete sa adeguare, adattarsi e cambiare alcune cose. Ma, nel caso della Frauenkirche, il valore simbolico è qualcosa che va al di là di qualsiasi resa acustica.
Come sono i tuoi rapporti lavorativi con la Germania?
Ho iniziato molto giovane con i concerti d’organo in Germania del Nord (Amburgo, Friesland) e poi anche con l’orchestra barocca a partire da una ventina d’anni fa.
Gli strumenti storici sono sempre stati il mio grande interesse. Alcuni li ho suonati in concerto mentre altri li ho visitati privatamente: a Weingarten ho suonato l’organo Gabler, altri organi storici ad Amburgo e poi a Staden ma non solo.
Con l’orchestra barocca siamo venuti in Germania a proporre repertorio veneziano, ma anche per suonare Bach (non siamo focalizzati su un repertorio fisso).
Quando vieni invitato come gruppo italiano a suonare musica italiana, il pubblico viene lì per sentirti suonare musica della tua patria. L’accoglienza è stata sempre positiva.
C’è però anche una terza variante delle mie esibizioni in Germana, ossia, quando dirigo orchestre tedesche. In quel caso mi devo confrontare con un repertorio tedesco (Mozart, Beethoven etc.) anche se è però capitato spesso che le orchestre tedesche mi chiedessero di interpretare musica vivaldiana nella prima parte del programma. Nelle seconde parti dei programmi dirigo sinfonie tedesche. In questo caso, l’accoglienza è quasi sempre ottimale, ma c’è, a volte, il confronto tra la mia lettura musicale (influenzata dalla musica antica e barocca) è una sfida perché mi devo più adeguare, anche se ormai è molto più facile rispetto a quando ho iniziato 20 anni fa.
Cosa si trova nella tua biblioteca musicale personale?
Veramente di tutti, anche moltissima musica romantica. Un musicista deve continuare a crescere Non esiste il musicista che segue il percorso di studi, riceve il suo diploma e si ferma lì. Quando uno finisce il corso di studi è il momento in cui si nasce professionalmente e si inizia da zero. Il cammino è lunghissimo. Basta pensare all’affermazione che per un direttore d’orchestra gli anni migliori sono dai 65 anni in poi. Non potendo mai completare il percorso lo stesso è una scuola di apprendimento continuo. Basta pensare al rileggere le partiture dopo 10 anni per esempio: anche se si conoscono bene, si scoprono delle cose a cui prima non si era fatto attenzione. Ci sono due grandissima direttori d’orchestra: Claudio Abbado e Simon Rattle: entrambi sono cresciuti per come ho descritto prima. Abbado, per esempio, ha inciso due volte il ciclo delle sinfonie di Beethoven e la seconda registrazione, poco prima di mancare. Paragonando le due versioni all’ascoltatore sembra impossibile che le due registrazioni siano opera di uno stesso direttore: i tempi sono completamente diversi. Lo stesso ha fatto Simon Rattle. Recentemente ho ascoltato la Terza Sinfonia di Beethoven eseguita con l’orchestra di Birmingham e paragonandola a quello che avevo sentito una quindicina di anni fa mi sono reso conto che avevano due stili completamente diversi. È importante, quindi, che ogni musicista mantenga una sana curiosità e sia un vero e proprio essere umano in cammino, responsabile e maturo abbastanza da mettere in discussione cosa è stato fatto in passato e tentare nuove strade.
Elisa Cutullè