UCCIDERE – MORIRE. CHRISTA WOLF E LA TERZA ALTERNATIVA: VIVERE

In questi ultimi tempi si fa sempre più pressante la questione della guerra, a cui l’uomo sembra voler dedicare parte non indifferente della sua vita. Come mai? Forse perché, come recita un proverbio latino se si vuole la pace si deve fare la guerra, o perché, come ricorda Jost Herbig, il conflitto fa parte della più intima essenza dell’uomo? Non dovremmo dimenticare, forse, che essendo discendenti di vincitori, conserviamo in nuce la loro inconscia crudeltà. La guerra esiste da sempre e si ripropone con una certa ostinazione, sia essa in letteratura che nella realtà. Una delle guerre più “mitiche” è stata senza alcun dubbio quella di Troia. Nel XII secolo a.C. Troia venne assediata per ben dieci anni dall’esercito greco, perché Paride, figlio di Priamo, re di Troia, aveva rapito la bella Elena di Troia. Durante la battaglia in aiuto dei Troiani accorsero diversi alleati, tra cui, tra l’altro la schiera delle Amazzoni, guidata da Pentesilea. Nonostante tutto, però, la città fu sconfitta e indi distrutta. Paride aveva una sorella, Cassandra, sacerdotessa e preveggente della corte troiana. Il dio Apollo le aveva conferito il ruolo di predire il futuro, ma anche il limite di non essere creduta; il tutto per non aver voluto ricambiare il suo amore. Cassandra, si trova così, a predire la fine di Troia e il proprio destino: la deportazione da parte dei greci e la propria morte. Una storia di morte e di distruzione, che Christa Wolf riprese per avvertire della possibile distruzione e autodistruzione della cultura stessa. Non una scelta casuale, né insolita per lei. Si era occupata di problematiche legate alla cultura già nel suo bel romanzo DER GETEILTE HIMMEL (1969), quando aveva esposto il problema della Germania divisa: per mezzo di una delicata storia d’amore ripropone il dilemma di scegliere tra il bene che offre il comunismo e ciò che minaccia il capitalismo. Un chiarimento di idee morali che, inevitabilmente porta alla separazione: Dalle tematiche trattate si intuisce che la Wolf intende la prosa in maniera particolare: la prosa è l’unica in grado a portare i limiti della nostra conoscenza ad essere superati, perché attraverso il ricordo del passato ci mantiene viva l’immagine del futuro. E’ rivoluzionaria e realistica e porta a realizzare l’impossibile. Ancora oggi, dunque, il passato, ed il narrare le vicende passate può aiutarci a capire che cosa ci riserva il futuro. Ritorniamo a Cassandra. Come già accennato aveva il dono di predire, ma anche lo svantaggio di non essere creduta. Predisse la guerra, interpretando il sogno del padre Priamo, che però preferì credere all’interpretazione del sacerdote Panthoos. Quest’ultima infatti si confaceva di più all’indole di un re: sconfiggere il nemico e asserire così la propria potenza. La vittoria, o meglio, il gusto della vittoria sembra trascendere qualsiasi altra attitudine. Cassandra continua a sembrare l’unica che si pone la questione della funzione dell’uomo nella guerra: la vittoria non può durare in eterno. L’uomo che crede di essere un vincitore nato, in realtà non fa altro che mentire a se stesso, perché, in realtà, la vittoria è solo una facciata della medaglia, dall’altra ci sta la sconfitta, la perdita, il crollo. E’ impossibile scindere questi due lati, perché inevitabilmente la vittoria comporta delle perdite, delle modifiche, delle privazioni. Sono lati, questi, che l’uomo, accecato dalla sua brama di potere, spesso non considera, lati necessari imprescindibili. Quasi come se fossero delle risposte alle richieste di affermazione. Cassandra riflette e predice, predice ma non viene creduta. Che funzione assume allora la donna all’interno del meccanismo della guerra? Quella di possedere una sottile capacità che le permetta di analizzare gli eventi, ma che non porti a nessun aiuto? Certo il discorso non si può riproporre per Pentesilea che in realtà ha il desiderio di trasformarsi in carnefice, di assaporare il gusto della sfida della morte. Pentesilea e Cassandra, sono come le due facce della stessa medaglia: due donne che si pongono nei confronti della vita con due attitudini diverse, ma non divisibili. Come riesce allora a giungere ad un compromesso la Wolf? O meglio, riesce a giungerci? Nell’opera ad un certo punto Pentesilea viene invitata ad unirsi a delle giovani che vivono in una grotta, nella montagna. Alla domanda della motivazione rispondono, perché c’è una terza strada: vivere. Vivere una vita, che sebben non richieda di essere apprezzata come vita guerriera, lo sia alternativa. Una questione spesso dibattuta, questa della vera vita, dell’essenza della vita. Giungere ad una decisione netta, definita e chiara, afferma la Wolf, è impossibile: troppe sfaccettature, troppe sfumature del pensiero e dell’agire umano, impediscono di immettere tutto in un claderone epr volerne poi trarre delle soluzioni aprioristiche. Caratteristiche che la Wolf si porta dietro, forse per aver fatto parte della critica alla generazione degli arrabbiati. La letteratura, la prosa, aveva nella DDR il compito sia di accettare il duro fardello della costruzione del socialismo e di presentare un’opposizione qualunquista, mal dissimulata ma indubbiamente molto virulenta nel suo impegno sarcastico. La lotta per l’esistenza è caratteristica dell’uomo, pare. Ma lo è altrettanto partecipare ad una guerra con la motivazione di doversi difendere dagli attacchi del nemico? Quale nemico poi? Quello che non osserva le nostre regole e non vive secondo i nostri schemi? Forse. E’ un dato di fatto però, che il dibattito non è pura finzione letteraria.

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