L’arte è l’espressione dei sentimenti umani e, perciò, non è monotematica: ognuno di noi ha sentimenti propri, sogni egoisti o grandi progetti. Vediamo il mondo con occhi diversi, notiamo aspetti che altri non noterebbero, abbiamo le nostre fantasie. Proprio a queste fantasie ha dato spazio Margareth Donlon che ha permesso ai suoi ballerini, di creare uno spettacolo con coreografie, costumi e scelte musicali fatte completamente da loro. Il tema erano le “Chanson”: non semplicemente però dell’ambito francese ma anche originarie della nazione di provenienza dei singoli ballerini: un percorso che permette di capire come l’arte in senso lato è estremamente legata tra sé e permette infinite possibilità di cooperazione. Cooperazione e fiducia nella creazione musicale: due punti a cui Maggie ha accennato durante la sua presentazione. La carriera di un ballerino non è lunga, per cui bisogna essere versatile e cercare, o meglio, essere aperti a delle alternative anche (e perché no) al di fuori dell’ambito della danza. Questi eventi annuali permettono ai ballerini della compagnia di mettersi in gioco e di esplorare che capacità artistiche hanno e che predilezioni e, cosa più importante, hanno la possibilità di presentare il proprio “prodotto” di fronte al pubblico e testarne le reazioni. La Donlon, permettendo questa libertà artistica, prende anche dei rischi: il pubblico potrebbe non gradire i lavori dei ballerini, la produzione dei ballerini non potrebbe essere all’altezza. Ma è un rischio da correre se si vuole dare capacità espressiva all’arte. Ironia della sorte è proprio questo uno dei punti che ha portato allo scioglimento del contratto tra Margareth Donlon e lo Staatstheater di Saarbrücken: l’idea, la prospettiva, di creare una European Dance Company che avesse un po’ più di autonomia. L’idea non è piaciuta a Dagmar Schlingmann ed è proprio di pochi giorni fa la sua affermazione che il progetto non è compatibile con lo la struttura del Staatstheater. Un’affermazione che, anche in considerazione dell’ultima messa in scena del Rigoletto di Verdi a cura della Schlingmann, lascia un po’ perplessi: lì sperimentazione c’è stata da tutti i punti di vista (costumi, ambientazione, messa in scena). Purtroppo, come ha notato la Donlon, la Schlingmann non è stata presente alla serata e non ha potuto verificare con i propri occhi cosa è il lavoro dei ballerini di questa compagnia e quale impatto può avere la decisione di rimuovere all’incarico la direttrice artistica. Non ha temuto invece le reazioni del pubblico il ministro della cultura Comerçant, che si è presentato come ospite ed ha accettato sportivamente i fischi che gli ha riservato il pubblico (sia i manifestanti fuori dalla Alte Feuerwache che il pubblico in sala). La Donlon, invece, anche forse rassicurata dalla presenza dell’Ambasciatore irlandese e da un giornalista del Times di Dublino, ha ricordato che la serata era dedicata all’arte e non alle polemiche di qualsiasi tipo e che, i suoi ragazzi, si meritavano senz’altro, l’attenzione incondizionata del pubblico.
Aveva assolutamente ragione: lo spettacolo era uno spettacolo da veri professionisti. Costumi, recitazione, musica e danza si fondevano in maniera tale da trasportare lo spettatore in dei piccoli mondi fatti di amore, gelosia e desiderio. Andres de Blus –Mommaerts, Youin Hui Jeon, Pascal Marty, Pascal Seraline, Masaoshi Katori, Francesco Vecchione, Liliana Barros, Ramon A. John, Eoin MacDonncha, Lucyna Zwolinska, Eleonora Pennacchini e Jorge Soler Bastida hanno creato coreografie su chansons classiche come “la vie en Rose” di Edith Piaf o “Je t’aime” di Serge Gainsbourg , a brani conosciuti come “Agua” di Jarabe de Palo ma anche dato spazi a brani come “Kaimono boogies” di Ryoichi Hattori o “Canzone per iuzzella” di Eugenio Bennato. Incomprensioni, affetti familiari, desideri che non si esaudiranno mai: sia che le composizioni fossero interpretate dallo stesso coreografo, come quella di Ramon A. John, per esempio, o che ci fosse collaborazione tra “coreografi” e ballerini il messaggio è stato chiaro: non ci sono confini nell’arte, come non ci sono frontiere della vita. Un brano non è bello solo perché è francese, italiano o inglese e ne capiamo le parole. Una performance è straordinaria, quando si riesce a trasmettere un messaggio al pubblico che non conosce quel brano o quella musica.
La Donlon, a conclusione della serata, ha affermato di essere orgogliosa dei ballerini e di quello che sono riusciti a mettere in scena. E non si può che non essere d’accordo con lei.
Breve chiusa finale: qualsiasi artista non riesce ad esprimersi pienamente se non si sente apprezzato e stimolato, accettato per quello che è e che potrebbe diventare. E con i suoi ragazzi la Donlon, finora ha fato un’eccellente ed esemplare lavoro.
Elisa Cutullè