Quattro chiacchiere con Edoardo Winspeare

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Incontro con il regista, sceneggiatore e attore italiano, presidente della Giuria del 36simo Festival del Cinema di Villerupt per scoprire il suo rapporto con la Germania e la sua terra.

Sei nato a Klagenfurt, in Austria ma sei  cresciuto in provincia di Lecce. Ti senti italiano o europeo?

Non riesco a dire se mi sento più italiano o più europeo. Se posso permettermi direi che mi sento molto italiano e molto europeo. Una cosa non esclude l’altra. Culturalmente potrei definirmi europeo, dato che sono un miscuglio di razze (mio padre discende da un’antica famiglia inglese originaria dello Yorkshire e di religione cattolica e da Elisabetta del Liechtenstein), nato in Austria e vissuto in Italia. Però sono cresciuto in Puglia ed ho respirato a pieni polmoni la cultura pugliese. Mi sento molto italiano perché sono molto legato all’Italia. Se poi vogliamo vederla dal punto di vista dei documenti, ho la cittadinanza italiana.

 

Hai studiato e ti sei formato sia a New York che a Monaco di Baviera. Come mai questa scelta di andare all’estero per la “Bildungsreise”?

New York? Anche io avevo il mio “sogno americano” e volevo andarci. Alla fine ci sono rimasto solo 6 mesi, mentre a Monaco di Baviera ho trascorso quasi 6 anni della  mia vita. Perché? Ho provato a fare il centro sperimentale ed ho fatto gli esami di ammissione per gli Istituti in Francia, Polonia e Germania. Ho superato l’esame ed ho vinto una borsa di studio per studiare alla Hochschule für Fernsehen und Film (Scuola superiore statale per la televisione ed il cinema).

Come è stato per te vivere in Germania?

È stato come vivere nell’ombelico dell’Europa. Ritengo che avere un’esperienza all’estero era ed è importante per ogni persona: è un’esperienza che ti apre e che ti fa vedere come è fatto il mondo. Mi ricordo che ho viaggiato tantissimo: la scuola, essendo molto ricca sia economicamente che culturalmente,  forniva molte possibilità di lavorare a diverse produzioni all’estero ed ospitava nomi importanti come docenti  tra cui, per esempio, Suso Cecchi D’Amico, sceneggiatrice italiana scomparsa nel 2010, che ha lavorato con nomi di calibro come Fellini, Flaiano e Monicelli.

Inoltre mi piaceva il fatto che in poco tempo arrivavo ovunque: bastava un’ora di aereo per essere a Parigi. In Germania è molto più semplice prendere un aereo e costa di meno. In genere mi ricordo che la Germania era molto meno cara dell’Italia. Uno studente aveva molta meno difficoltà: mense a prezzi umani e cinema gratuito. Questo è un aspetto che apprezzavo particolarmente.

 

L’idea di fare il regista è nata in questo periodo?

No, già molto prima. L’idea di fare il regista l’ho maturata, se così si può dir quando avevo 14 anni. Con l’amore per il cinema (nato andando proprio al cinema a vedere cosa facevano gli altri) è arrivato anche il desiderio di essere l’occhio dietro la telecamera, quello che raccontava le storie dal suo punto di vista. Ho iniziato facendo documentari ed esperimenti sui suoni sui pugliesi. Mi interessavo di emigrati, immigrati, minatori, contrabbandieri, aristocratici. Mi intriga osservare l’essere umano, ascoltare le sue storie ed essere in grado di riproporle. Nel lungometraggio “Pizzicata” del 1996 volevo riproporre, sintetizzando al massimo, il dramma di una donna dell’Italia del Sud negli anni 40, mentre in  “Sangue vivo” le storie venivano raccontate in dialetto, con sottotitoli in italiano. Non è stata una scelta ideologica, bensì dettata dalla necessità. La maggior parte dei personaggi parlavano un italiano povero, per cui ho optato per la lingua in cui si sentivano più a proprio agio, più vivi insomma.

 

Ci puoi svegliare il tuo sogno nel cassetto?

Mi piacerebbe fare un grande film sul Sud, diverso dai film sul Sud che ho fatto finora. Penso a film come “C’era una volta l’America” o “C’era una volta il West” che vorrei prendere come modello per un “C’era una volta il Sud”, ambientato introno al 1860. Ancora c’è solo questa idea e non ho ancora pensato né a dove lo vorrei girare né che attori ingaggiare. È ancora tutto in fieri.

 

 

Elisa Cutullè

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