Volendo fornire una definizione rigorosa di cosa sia il femminismo, ci si troverà sempre in difficoltà. Il femminismo è senz’altro un insieme di teorie e di pratiche incentrate sulle tematiche femminili in cui si possono individuare anche delle coordinate fondamentali (1), rappresentate in questo caso dall’emancipazionismo e dal tema della differenza. Un aspetto del femminismo contemporaneo è la crisi del movimento delle donne, da cui, come ribadisce M.H. Laforest, ricordando le opere di Alice Walker, Toni Morrison e Toni Cade Bambara, è nata la frattura tra femminismo bianco e femminismo nero. La lettura storica differenziata tra bianco e nero, è quello di una pretesa universalità del movimento di liberazione delle donne, l’emergere di proposte e richieste che rifletteranno le proposte delle donne agiate. Le donne di colore hanno la sensazione che le loro voci vengano messe a tacere all’interno del mondo maschile a causa di discriminazioni come la povertà, il razzismo e l’eterogeneità. Il silenzio “forzato” delle donne può quindi essere rappresentato come derivante da: universalismo; gerarchia patriarcale e oppressioni legate a genere, razza, classe e scelte sessuali.
Universi femminili letterari
Non bisogna trascurare di dire che in passato, quando la scolarizzazione per le donne era considerata inutile, molte donne sole si rifugiavano nei conventi, dove avevano la possibilità di studiare. Alessandra Riccio, traccia la storia di due religiosi messicani del 1600 circa l’una e del 1800 circa l’altro, ed in particolare di Suor Juana, che prima di morire aveva scritto dei libri molto struggenti ed è stata definita una poetessa sui generis, per il grande coraggio che aveva di porre le sue idee, sfidando anche le autorità religiose del tempo. In realtà lo studio della Riccio mira a dimostrare come uno strumento di genere possa risultare molto utile per permettere la realizzazione di realtà diverse; realtà che però, per risultare veramente attuali, impongono una riscrittura della letteratura del mondo occidentale attraversando così il passato remoto e rendendolo attuale al presente (un concetto questo, utilizzato spesso e volentieri quando si vuole dimostrare come e quanto sia importante la rivalutazione della storia passata per la comprensione delle strutture storico-sociali del presente, anche se a volte si corre il rischio di lasciar prendere il sopravvento al passato). Esaminando un oggetto ed analizzando anche le incursioni sul terreno esterno; si opera una scelta di percorso che impedisce di entrare in una gabbia metodologica. Questo tipo di contrapposizione, secondo la Riccio, si propone di mettere in evidenza come il genere non sia un dato immodificabile stabilito per natura, ma un insieme di fatti che una cultura attribuisce ai vari elementi per definire un genere.. Le classificazioni infatti non solo non sottraggono, ma relegano nel ghetto dell’inferiorità tutto il diverso secondo canoni maschilisti, o più generalmente sessisti.
Diverso è invece il discorso quando si prendono in considerazione le implicazioni delle differenze femminili nel mito. Rita Svandrlik (2), citando il lavoro di Adriana Cavarero, Nonostante Penelope, fa notare come il lavoro di Penelope (di tessere di giorno e di disfare il tessuto di notte), rappresenta i due ambiti principali nei quali le donne si confrontano con le immagini mitiche del femminile. Il mito, nella sua costruzione, da’ spesso poco spazio all’identificazione femminile se si considerano Didone e Fedra e le loro passioni negative oppure le altre figure mitiche come Arianna ed Andromeda che vengono abbandonate dai propri uomini. La donna risulta essere, nella differenzazione, essere relegata a diventare portatrice dei valori del cuore; quasi come se il suo rientrare nelle lotte di potere avesse il solo ed unico scopo di renderla capace di accettare di diventare un a tale portatrice. Questo è il disfare da parte della cultura delle donne: un metodo di analisi destrutturante, che facendo perno sulla differenza, scopre il nucleo resistente di ogni rinvio al precedente, in cui il femminile non era così svalutato.
Paola Splendore nella sua mesa in evidenza dei rapporti madre-figlia nei romanzi di autrici indiane afferma come gli universi femminili debbano essere visti con un’ottica di genere: in primo luogo perché queste autrici danno la parola alla donna ed immettono il personaggio donna, conferendole lo status di soggetto che parla; in secondo luogo perché mirano alla presentazione della donna come individuo e non come ruolo, mostrando quali sono le contraddizioni, le differenze, di una donna indiana, emancipata sì in alcuni casi, ma che non ha quasi mai il diritto di parlare. L’immagine che la letteratura indiana ci fornisce della donna è un’immagine stereotipata del femminile e ciò perfino nei romanzi di donne. La Splendore ricorda come negli anni più vicini a noi le cose siano un po’ cambiate, perché con l’entrata nella società delle donne professioniste, si è in qualche modo modificata l’ottica. Questa nuova prospettiva ha permesso, attraverso l’acquisizione di una maggiore fiducia in se stesse, l’utilizzo di una tecnica narrativa di prima persona che permette l’osservazione della donna dall’interno, con un’attenzione particolare al suoi desideri ed alle sue sofferenze “diverse”.
Differenza nella/della storia
Partendo da un’istanza che fa riferimento alla differenza, si nota come nella discriminazione che le donne hanno subito, il concetto di disuguaglianza abbia un primato cronologico Renata Ago (3) ponendo delle premesse sui principi legali generali, ricorda anche come l’età moderna fosse spesso stata definita “Antico regime”, per sottolineare come il corpo sociale fosse diviso da una serie di distinzioni, che contemplano i diritti ed i doveri di ogni persona. Le distinzioni nascevano già in ambito familiare, visto che prevaleva ancora una struttura patriarcale; alla donna infatti non veniva assegnato nessun poter di fatto: anche essendo proprietaria di beni, ed in modo particolare della sua dote, non poteva amministrarla, perché questo era un compito che spettava al marito. Oltretutto non era emancipata e, in caso di divorzio, dipendeva sempre, per quel che riguardava le pratiche legali ed economiche, da un parente maschio.
L’uguaglianza tra i sessi è stata teorizzata già nel 700, mentre la differenza tra i sessi può essere collocata solo all’inizio del 900 con la nascita della psicoanalisi (4)e poi con le varie scoperte nel campo della biologia, come per esempio i principi della selezione naturale. Quello che sembra essere l’opinione corrente era che le donne fossero delle copie malriuscite degli uomini (5)
I movimenti femminili degli anni 70 si differenziano dagli altri, caratterizzandosi per il carattere puramente politico, rispetto ad una ricaduta nei campi del sapere. La ragione di tutto ciò va riferita all’aumento, all’incremento della scolarizzazione (6) Nelle facoltà universitarie, al giorno d’oggi, la popolazione femminile è leggermente superiore a quella maschile (7) le donne studiano, intraprendono la carriera delle ricercatrici e favoriscono così una sempre crescente familiarizzazione tra le donne e il sapere scientifico. Si è creato, in un certo senso, una sorta di “corto circuito”, poiché le donne “ribelli” degli anni 70 si sono trovate costrette a tradurre i saperi, le suggestioni, le sollecitazioni e le problematiche dei movimenti a cui partecipavano e di cui facevano parte. Questo ha provocato un’esplosione di Women studies in tutte le discipline; in altre parole, un impegno nella ricostruzione della storia delle donne. Il problema più pressante era quello di dimostrare di esserci, di riuscire a conferire una determinata visibilità alle donne, laddove una storia maschile le aveva rese invisibili ed inesistenti. Un secondo aspetto è stato quello di cercare coordinate unificanti in contesti diversi; coordinate che avevano come soggetti principali le donne. Infine il terzo aspetto è stato quello di concentrarsi sull’origine e la differenzazione dei ruoli (8). Risulta quindi che vi fosse comunque un tema principale e cioè quello della soggettività, tema che ha una genesi linguistica e filosofica (9).
Conclusioni
La costruzione dell’identità sessuale è per lo storico, secondo A. Berrino, cercare di sottolineare i momenti nei quali è stata progettata e realizzata la costruzione nei riguardi di un sesso dall’altro. Nei momenti in cui viene emanato un codice che sancisce dei vantaggi per un sesso o per un altro le relazioni interpersonali vengono concepite come relazioni culturali e portate avanti come tali. Il diritto è uno dei luoghi in cui si costruisce il vantaggio di un sesso o di un altro .Ad un’analisi puntigliosa si scopre come nella storia è stato costruito un vantaggio maschile, confermando certi preconcetti correnti in merito alla natura e alla biologia.
Secondo l’Alberti la ricerca dell’identità si configura, come aveva già annunciato in passato Virginia Woolf (10) in uno spazio tutto per sé, spazio che erroneamente viene ricercato troppe volte all’esterno ed inteso puramente in termini di materia; in realtà lo spazio tutto per sé va ricercato all’interno delle donne stesse, perché se, come dice Patrizia Vicinelli, non si può mai giungere ad una ricerca consapevole dell’identità se all’interno dei corpi femminili sono presenti ancora i fantasmi delle menti del passato. Sempre secondo l’Alberti, ciò ha indotto molti a riferirsi, compresa Irigaray (11) un’entità divina superiore, giungendo anche a considerare la Madonna come l’essere femminile perfetto.
Dal punto di vista letterario invece, come sottolinea la poetessa irlandese Eilèan Nì Chuilleanàin, una scrittrice sente il bisogno di asserire la propria identità, cosa che però non le viene sempre permesso dalla lingua. Quando la lingua opera un tale “occultamento” ci possono però anche essere alcuni vantaggi, si pensi alle professioni il cui sesso non è fisso che permettono al femminile di esternarsi attraverso qualcosa di non materiale, di non fisso. Anche il corpo, secondo la poetessa, non è fisso: nel bambino, per esempio, manca un’identità che gli viene data dalla madre attraverso il perpetrarsi dei racconti antichi e/o del passato.
Alternativa valida pare allora introdurre la categoria di “genere” Il concetto di genere, ricorda Simonetta Piccone Stella, ha poco più di vent’anni ed è stato adottato per sostituire la terminologia ideologica e naturalistica che lo precedeva. Questo nuovo termine è più significativo perché si preferisce utilizzare una terminologia sociale piuttosto che una naturalistica.
Questa nuova categorizzazione ha presentato notevoli vantaggi perché ha rivelato una capacità destrutturante che gli studi sulle donne fino ad allora non avevano affatto avuto ed anche perché, grazie alla sua forza di ribaltamento di alcuni saperi e di concetti (malgrado gli sforzi sistematici e periodici) ha avuto un maggiore impatto sul mondo culturale. Questa particolarità di definizione consiste nel fatto che il termine “genere” stenta ad entrare nella sua corretta accezione nell’uso comune. E’ come se si trattasse di una forma linguistica poco comunicativa. Il termine gender si connota invece come concetto filosofico: s’intende con esso una categoria di oggetti che hanno in comune delle proprietà essenziali e che differiscono tra loro per capacità non essenziali. Il genere, di conseguenza, non è capacità di sesso, infatti il concetto di sessualità non coincide con il concetto di genere. Si tratta, in realtà, di un codice binario e si intendono uomini e donne collegati tra loro in una sorta di complementarietà. Al centro di questo processo di rielaborazione delle categorie e degli approcci c’è ancora una volta il linguaggio, perché è il luogo di una lotta sotterranea. La complementarietà dei sessi va riaffermata nell’ambito del linguaggio : la problematizzazione dei rapporti di genere è stata il maggiore sforzo compiuto dalle teoria femminista. Si è aperta quindi anche una critica femminista negli studi letterari, che rappresenta un costante rinvio ad altre categorie della differenza. I modi in cui si esplica questo processo sono diversificati: un primo modo fa derivare dal post-strutturalismo e dalla psicoanalisi la cosiddetta differenza sessuale (l’acquisizione in questo contesto avviene prima di quanto non avvenga in altri contesti). L’obiettivo è quello secondo il quale si può costruire un linguaggio e poi risovvertirlo; un secondo modo è quello che si pone in polemica nei confronti della prima lettura; un terzo modo infine, è quello per cui non si tratta di una mera costruzione della differenza, ma di potere, le cui asimmetrie di disuguaglianza siano tali da creare una capacità ristrutturante. Questa categoria continua a scontrarsi con una grande ritrosia maschile, perché pone una ricollocazione nell’area della mascolinità e con ciò presenta una faticosità di penetrazione nell’ambito della ricerca e degli studi maschili .
(1) Cfr. Rosy Braidotti in ‘Envy:or with your brains and my looks’ in A.Jardine and P.Smith (eds.) Men in feminism, New York-London 1987.
(2) Cfr. L. Borghi-R.Svandrlik (a cura di) S/Oggetti immaginari. Letterature comparate al femminile, Urbino 1996
(3) Cfr. R. Ago “Giovani nobili nell’età dell’Assolutismo. Autoritarismo paterno e libertà” in G. Levi & J.C.Schmitt (a cura di) Storia dei giovani, Vol. I
(4) Si vedano gli studi sulla sessualità di Freud, in particolare Al di là del principio del piacere e i Tre saggi sulla sessualità. Si veda anche S.Freud Scritti sulla sessualità femminile, Torino, 1976 e Sessualità e vita amorosa, Roma, 1989. Un altro testo fondamentale per quello che riguarda la differenzazione sessuale e la teoria deterministica è Sesso e carattere di Otto Weininger (Pordenone 1992). Franco Rella in Il silenzio e le parole, Milano 1981 evidenzia come nei tempi moderni la figura di “donna”, come anche quella di ebreo venissero usati come termini designanti la differenza. Cfr. Iain Chambers Border Dialogues, London-New York 1990.
Merita di essere ricordata anche l’opera di Andreas Huyssen After the Great Divide, London 1988.
Chambers op.cit, loc.cit. ricorda che per un approfondimento del termine “donna” come essere sconosciuto, indicibile, indecifrabile i cui eccessi rappresentano “l’altro” per i filosofi della crisi e della differenza (da Nietzsche a Derrida), è utile consultare Alice Jardin Gynesis, New York 1985.
(5)Si veda in proposito il capitolo introduttivo di Otto Weininger op.cit.. T.Dacew L’identità sessuale dai Greci a Freud definisce la separazione tra donna e immaginario che si è verificata nel corso dei secoli, con una particolare attenzione all’azione che questa divisione ha avuto sul piano legislativo e scientifico. Andrè Morali-Daninos in Storia della sessualità , Roma, 1994 osserva come il sesso, pur avendo già avuto un ruolo di notevole rilievo nella storia delle diverse società che ci hanno preceduto, il sesso ne abbia uno ancora più grande nella vita dell’uomo contemporaneo.
(6) In realtà la rappresentazione della donna italiana è una costruzione ideologica, perché in realtà non si ha mia avuto una materializzazione delle Femme nouvelle, o della new woman. Nel 1900 ci sono 222 laureate alcune delle quali anche due lauree. La donna nuovamente, in questa caso, è quella che chiede la partecipazione in seguito alla grande guerra, e lo fa attraverso il servizio di assistenza. In riferimento al periodo della guerra vi sono due libri di due scrittrici napoletane. Uno è Parla una donna. Diario di guerra di Matilde Serao in cui vi è un capitolo dedicato alla critica delle femministe; l’altro è Clotilde tra due guerre di E.Canino, una vicenda biografica di una licealista, una delle pochissime, e del suo percorso di emancipazione. In questo romanzo si ritrova, secondo la De Giorgio, la descrizione della donna del Novecento, che prima degli anni venti si chiamavano ancora “signorine”.
(7) Michela de Giorgio, rifacendosi al testo di Victoria de Grazia Le Donne nel regime fascista, Padova, 1993 ricorda come già all’epoca fascista, in cui erano semplicemente in “poche elette” quelle che frequentavano l’università, già si potesse notare una crescente superiorità della presenza femminile presso le facoltà universitarie, considerate anche prettamente maschili.
(8) Si può far rientrare a questo proposito il termine di ambiguo, contestualizzandolo nei termini espressi da Freud nel saggio Il perturbante, in cui Freud definisce il perturbante, l’ambiguo ciò che al di fuori di noi ma che allo stesso momento è anche una parte costituente di noi stessi. Simile per idee è il testo di J. Kristeva I poteri dell’orrore, in cui c’è tutto un gioco linguistico sull’originario significato di monstrum e cioè bello e affascinante.
(9) Nel 1958 Benveniste definirà il linguaggio come luogo della soggettività. Cfr. Emile Benveniste Problemes de linguistique gènèrale, Paris. L’importanza di questa affermazione era dirompente: sostenere che il fondamento della soggettività della persona andava ricercata nel linguaggio e non nel bagaglio filosofico. Il prosieguo di queste analisi ha riguardato le forme costitutive della società, con riferimento naturalmente a tutti gli esponenti del post-strutturalismo come Lacan e Foucault.
(10) V. Woolf Una stanza tutta per sé, Milano, 1995
(11) Cfr. L. Irigaray Il respiro delle donne. Lucy Irigaray presenta il credo al femminile , Milano, 1997 e L. Irigaray Speculum. L’altra donna, Milano, 1993
SILVIA BARALDINI: LA VITA NON VALE MOLTO
Silvia Baraldini, incriminata e condannata a 43 anni di carcere per concorso nell’evasione della militante afroamericana Assata Shakur.
Silvia Baraldini non ha commesso fatti di sangue ne altri reati gravi. Ha già scontato gran parte della pena in carceri di massima sicurezza negli Stati Uniti (Lexington) dove è stata sottoposta ripetutamente a torture psicofisiche e privazioni sensoriali. Ammalatasi di cancro squamoso uterino è stata sottoposta a due interventi chirurgici senza mai uscire dal carcere.
Il Governo degli Stati Uniti, in violazione della Convezione di Strasburgo ha finora rifiutato le chieste di rimpatrio.
Ciò che viene contestato a Silvia Baraldini, non è un reato, ma la sua militanza a favore delle minoranze etniche americane e il fatto di non essere mai voluta scendere a patti con il governo americano.