L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht

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Da oltre 200 anni viene messa in scena nei teatri inglesi con il titolo “The Beggar’s Opera”. Ambientata in una Londra malfamata, che ricorda i romanzi di Dickens e dell’Ottocento  propone una visione diversa della vita criminale.

Un preludio, 8 quadri e canzoni celebri come “Der Haifisch(=lo squalo) per raccontare la storia di Polly, figlia del capo dei mendimenti e Macheath, capo dei criminali organizzati, nonché casanova e furbetto di turno.  C’è un confine tra bene e male? Quali sono le regole che la società stabilisce? Come ci si muove?

Chi visita la rappresentazione della Schlingmann deve esser preparato a una visione epurata della storia. Mentre da un lato questa decisione di limitare costumi, decorazioni sceniche e ambiente al massimo, può conferire maggiore enfasi ai dialoghi, dall’altro lato rischia di non solo di epurare, ma di tagliare completamente una parte della storia.

Brecht non è un autore che vuole dare spazio all’immaginazione: è un autore che vuole denunciare, che vuole far riflettere su alcuni particolari aspetti sociali. Difficile immaginare la reggia dei mendicanti in una scena vuota o un bordello con una semplice chaiselongue. È come se allo spettatore venisse richiesto uno sforzo aggiuntivo. Il fatto è, che con questo sforzo, diverse volte lo spettaore si allontana dalla storia perché deve capire bene dove ci si trova. Ben resa la scena della prigione con le sbarre, ma per il resto, specialmente la scena del matrimonio della stalla, non rende. Blocca.

Spendendo troppo tempo ad arricchire mentalmente la scena, lo spettatore potrebbe essere riportato in scena con una performance stravolgente degli attori. Ma anche qui ci sono dei manchi perché allo spettatore viene richiesto di continuarsi ad immaginare cosa rappresentino.

Se questa messa in scena ha lo scopo di stimolare la fantasia allora è perfetta.

 

Elisa Cutullè

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