Il marxismo rappresenta una delle componenti intellettuali e politiche più importanti dell’età moderna. E Marx, oltre ad essere il “filosofo del comunismo” è anche un “classico” della cultura, il cui pensiero riveste dunque un interesse ed una portata universali.
Il primo contrassegno del pensiero di Marx è la sua irriducibilità alla dimensione puramente filosofica, sociologica ed economica ed il suo porsi come analisi globale delle società e della storia, in grado di rivestire l’intero aspetto strutturale e sovrastrutturale del capitalismo, ossia il mondo borghese nella molteplicità delle sue espressioni. Rivela così la tendenza ad indagare il fatto sociale non a compartimenti stagni, ma nell’unità organica delle sue manifestazioni. Un secondo contrassegno del marxismo è il suo legame con la prassi, ovvero la tendenza a fornire un’interpretazione dell’uomo e del suo mondo che sia anche impegno di trasformazione rivoluzionaria. Un punto chiave del marxismo, che sta alla base della scelta rivoluzionaria che lo contraddistingue: l’ideale di tradurre in atto quell’incontro tra realtà e razionalità che Hegel aveva solo pensato e che Marx si propone di attuare con la prassi, mediante l’edificazione di una nuova società. Le influenze culturali che stanno alla base del marxismo sono essenzialmente tre: la filosofia classica tedesca da Hegel a Feuerbach; l’economia politica da Smith a Ricardo; il pensiero socialista da Saint Simon ad Owen. Queste tre espressioni intellettuali che fungono da coordinate teoriche della genesi del marxismo, vengono ripensate da Marx alla luce di una sintesi creativa che, pur muovendo da esse, procede criticamente oltre i loro risultati, mettendo capo ad una nuova visione del mondo. Alla base della teoria di Marx e della sua adesione al comunismo, esplicita nel 1844 vi è una critica globale della civiltà moderna e dello stato liberale, che rappresenta uno dei nuclei teorici più importanti del marxismo. Il punto di appartenza del discorso di Marx è la convinzione mutuata da Hegel che la categoria del moderno si identifichi con quella di “scissione” che prende corpo innanzitutto, nella frattura fra società civile e Stato. Nel mondo moderno l’uomo è costretto a vivere come due vite: una “in terra” come borghese, cioè nell’ambito dell’egoismo e negli ambienti particolari della società civile e l’altra “in cielo” come cittadino, ovvero nella sfera superiore dello stato e dell’interesse comune. Tuttavia “il cielo” dello stato secondo Marx, è puramente illusorio, poiché la sua pretesa di porsi come organo comune, ossia come universale che persegue gli interessi particolari della società, è verificabilmente falsa. Lo Stato però comune, ossia come universale che persegue mete generali, non fa che riflettere e sanzionare gli interessi particolari dei gruppi e delle classi. Tant’è vero che la stessa proclamazione dell’uguaglianza “formale” dei cittadini di fronte alla legge che è la grande conquista della Rivoluzione Francese, non fa che presupporre e verificare la loro disuguaglianza sostanziale. In sintesi, la civiltà moderna rappresenta al tempo stesso la società dell’egoismo e delle particolarità “reali” e dell’universalità “illusoria”.
E proprio in quest’ottica di individualità si inquadra il saggio su Simon de Bolivar, scritto nel 1858 in inglese e tradotto a cura dell’Institut für Marxismus-Leninismus allo ZK della SED di Berlino, solo nel caso dell’edizione completa delle opere presso la casa editrice Dietz nel 1974, cosa che sottolineano gli stessi curatori (ricordano infatti che questi saggi scritti in inglese tra il 1857 e il 1858, sono stati pubblicati una prima volta nel 1893, in lingua originale con il titolo “Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie” e poi solo in questa occasione sono stati tradotti ben 54 saggi contenuti nell’enciclopedia americana). Il saggio “Bolivar y Ponte” venne scritto da Marx in un periodo in cui la storia della lotta per la libertà dei paesi latinoamericani per l’indipendenza (dal 1810 al 1826) era ancora poco studiata. All’epoca erano molto diffusi i resoconti di viaggi e le memorie di quegli avventurieri europei, che avevano partecipato alla lotta per motivi egoisti. E visto che tra di loro ben pochi riuscirono a raggiungere i propri scopi, la descrizione che ne davano era molto spesso distorta. Questo è anche il caso delle memorie del francese Ducodray Holstein, prima amico e poi nemico di Bolivar, del libro dell’inglese Hippisley, un disertore delle truppe di Bolivar, come pure delle memorie del generale Miller, che partecipò alla guerra del Perù. In questi libri su citati la lotta dei latinoamericani e anche molti dei suoi condottieri sono rappresentati in maniera tendenziosa. Bolivar, per esempio, per loro è rappresentato con molte caratteristiche negative (mancanza di fiducia, prepotenza e viltà), per cui anche i “difetti” più palesi, come la grande voglia di potenza e di lusso, sembrano no avere un grande valore: la sua lotta contro i dominatori è stata da questi autori rappresentata come un atto tirannico, dittatoriale. Da ricordare che poi in questi resoconti vi sono molte illazioni assurde ed inverosimili; perfino in quello di Ducodray, dove viene citato il rifiuto di Bolivar di partecipare alla lotta per la liberazione del Venezuela. Come invece è stato comprovato da studi posteriori, Simon Bolivar ha ricoperto un ruolo importantissimo nella lotta per la libertà: per un certo periodo riuscì anche ad unire nella lotta gli elementi patriottici dei proprietari terrieri creoli, la borghesia e la massa del popolo. E’ da notare inoltre che, nonostante tutte le possibili contraddizioni, la lotta di Bolivar ha portato alla liberazione di tutta una serie di paesi latinoamericani dal giogo spagnolo, alla creazione di forma di governo repubblicane in questi paesi e all’attuazione di alcune riforme civili “all’avanguardia”. Marx non aveva nessuna altra fonte, tranne i libri prima citati, a cui riferirsi e non era nemmeno a conoscenza del loro pregiudizio. L’idea di Bolivar che rispecchia il saggio di Marx, è naturalmente derivata da questa rappresentazione univoca della sua personalità; in modo particolare non poteva passare inosservata la “brama politica”, a volte simile anche ad alcuni tratti del carattere di Napoleone Bonaparte, personaggio contro cui sia Marx che Engels conducevano una guerra accanitissima. Marx però si distacca da queste idee e non lascia passare inosservate le manovre “progressiste” di Bolivar, come per esempio quella di liberare gli schiavi. Il saggio alla prima apparenza non risulta altro che essere uno scritto atto a chiarire il periodo di transizione dalla fase politica a quella economica; ad un’analisi più profonda però ne ritroviamo alcuni aspetti che da un lato si ricollegano a delle sue idee precedenti e dall’altro precorrono dei concetti che saranno poi elaborati nei suoi lavori posteriori. Marx mette in evidenza come per Bolivar la sua “rivoluzione” non sia sta configurata semplicemente come lotta politica, ma anche economica. Sebbene la libertà economica non fosse sufficiente a creare un nuovo status, era sicuramente il primo gradino da percorrere per svincolarsi dal dominio straniero, in modo da potersi avviare sulla strada verso il progresso in cui tentare di riflettere la propria idea di patria. In questa sua presa di coscienza Bolivar appare simile ad Epicuro, protagonista della tesi di laurea di Marx “Differenza della filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro”: in quest’opera infatti Epicuro è rappresentato come il “più grande illuminista ” greco, che tenta di liberare l’uomo dalla schiavitù degli dei. Una sorta di “programma prometeico” di Marx in cui l’uomo, capace di cogliere l’attimo della trasformazione storica diventa artefice e responsabile del destino di altri uomini. Anche Bolivar seppe desumere perfettamente le condizioni di quel determinato momento storico, seguendo le pressanti richieste che ne venivano dal popolo, non trascurando le richieste di una rivendicazione sul punto di vista politico-amministrativo. Un processo di acquisizione che porta ad una necessità di potere, autorità ed influenza. D’altro canto poi Bolivar risulta la personificazione della “lettura della storia” che Marx ripropone nel “Capitale”, una prospettiva assolutamente nuova di leggere la storia che contribuisce a svelare le contraddizioni del sistema di produzione facendo perno sull’inganno che sottostà allo sviluppo storico da quell’oggetto materiale che per l’uomo rappresenta un valore d’uso, alla merce al denaro, al capitale, dal valore al plusvalore, dal lavoro al pluslavoro e poi dalla vendita di se stesso che è costretto a fare l’uomo sul mercato della forza lavoro alla mistificazione tutta borghese, il cui errore più lampante, secondo Marx, è di scambiare per leggi naturali ed eterne, categorie che vanno invece considerate nella loro storicità, e più esattamente la produzione rivolta all’appropriazione di lavoro altrui, non come forma storica, ma come forma naturale della produzione sociale.
Il saggio dovrebbe allora essere interpretato come una semplice cronostoria riassunta delle imprese di Bolivar? Limitare lo scritto in questo ambito sembra piuttosto riduttivo: già la semplice esposizione dei fatti, fa risaltare immediatamente agli occhi che a Marx preme mettere in evidenza, non tanto il gesto di Bolivar , e cioè quello di diventare il “libertador” dell’America Meridionale (manca, per esempio un assoluta mancanza di accenno alla Carta di Giamaica, documento importantissimo per le lotte d’indipendenza di Bolivar), ma di far emergere come questo personaggio avesse assunto il potere in un clima non sempre favorevole: intrighi, lotte, compromessi e tradimenti da parte sua nei confronti dei suoi alleati e viceversa. L’idea di fratellanza portata avanti appare infatti permeata da una scissione antropologica e dalla presenza di questa doppia vita, che a volte pare anche quasi risolversi in una lotta contro il popolo stesso.