JUNIOR BUTTERFLY, OPERA NUOVA SCRITTA DA GIAPPONESI (2/2)

junior butterfly

Parte 1/2

E il testamento che lascia a J.B. merita di essere citato quasi integralmente: “siccome sei un figlio nato fra due paesi, volerai fra la terra di tuo padre e quella di tua madre, come un uccello migratore. Tua madre, accolta fra le braccia della Dea Cannon, varcherà la soglia del Paradiso e lo spirito di tua madre sarà sempre vicino a te (…) nel paese della libertà e della parità cerca di avere la benedizione del nuovo Dio! La farfalla destatasi dal piacevole sogno d’amore ha passato il fiume e non c’è più ritorno. E così quella gioia nata poi tra il vento e la farfalla si è fatta dolore che vaga ancora tra loro. (…) La farfalla morta per fare che l’amore viva, aspetta in silenzio nel mondo dell’al di là che giunga da lei l’amore…”

Parole che lasciano in segno di cui l’Autore è consapevole del peso che hanno in quel contesto e oltre, anche nella nostra società egoista e opportunista.

Ma Suzuki è anche capace di giuste parole di fuoco, anch’esse rivolte ad una mite suora che cerca solo di colmare il suo immenso e mai sopito dolore, misto ad un sottile rancore per quanto era stato fatto alla sua piccola signora: “dicono che il suicidio sia un peccato, eppure l’uomo che l’ha spinta a ciò, viene perdonato. Non pensa che sia assurdo, o no?”

E le ultime parole prima di spirare sono ancora per lui, per il piccolo bambino biondo per il quale Ciò ciò san ha sacrificato la propria vita: “Na-mi-a-mi-da-bu-tsu. Na-mu-a-mi-da-bu-tsu. Con il loro Dio gli americani esportano anche i semi della violenza e della guerra. Chissà se quel ragazzo avrà letto attentamente la mia lettera?”

Risposta degna di tanta accorata preoccupazione viene dal miraggio del bambino che le appare:” non conosco il tuo nome, o madre mia, non so neppur per quale ragione ti sia tolta la vita. Non ti spetta neppur una tomba e nessuno si ricorda di te. (…) Vorrei sapere quale illusione, quale futuro sognavi (…) Madre mia, è te che io prego…”

E veniamo infine al Poeta, voce recitante a cui è affidato il compito di offrire gli elementi di riflessione e critica sui fatti che vengono raccontati. Masahiko Shimada la usa con grande sapienza fin dall’antefatto alla prima scena: “in questa era di massacri, di fronte alla follia politica, musica e poesia non possono più consolarci ma valgono più delle chiacchiere vane dei patrioti (…) il passato è come un padre che batte i piedi per la rabbia, come una madre che sospira. Il futuro è come un figlio che ha paura del buio, una figlia che si nasconde di fronte ad uno sconosciuto”

E ancora: “per i genitori è già tardi ma sono responsabili per il futuro. Per i figli è ancora presto, ma devono imparare dal passato…”

Voce, quella del poeta, che si fa talvolta sprezzante:”quando si perde la guerra i prigionieri diventano eroi e gli eroi trafficanti. Quando si perde la guerra, le macerie diventano bordelli, le fanciulle prostitute. Quando si perde la guerra, santi e saggi diventano corrotti…”

Parole di pietra, di piombo che pesano sulle coscienze e obbligano a leggere quella storia con maggiore attenzione, con una più diretta responsabilità individuale anche se, apparentemente tempi e luoghi ci sembrano lontani.

E veniamo alla musica di questa opera: Shigeaki Saegusa che l’ha composta, come ci ha confermato direttamente, ha ampie ed accurate frequentazioni, oltre che conoscenze, della musica occidentale del Novecento, anche di quello più recente. E ne ha fatto tesoro pur tuttavia senza rimanerne prigioniero. Nel cuore dei giapponesi si nasconde ancora, forte, il sentimento (non il sentimentalismo melenso e appiccicaticcio) e questo ha bisogno di trovare riscontri nella musica più “pucciniana”; il compositore la usa con grande rispetto aggiungendovi quella che il Giappone riesce ancora a produrre, forte delle proprie tradizioni. Quello che ne viene fuori è un impianto di grande efficacia e suggestione, capace di trovare momenti di intensa poesia (quella necessaria a supportare un libretto così denso) che riscattano altri dove, forse, almeno per la nostra cultura occidentale, c’è un ristagno ed una reiterazione troppo prolungata. Ma che quelle note siano pensate e vissute fino all’ultima biscroma è un dato inconfutabile: che piaccia o meno, che risulti per taluni troppo lunga o tediosa, è una musica che non lascia indifferenti né che possa essere ricondotta in modo troppo evidente ad altre esperienze passate o coeve. Saegusa aggiunge quello che il libretto chiedeva con una coerenza ed una pertinenza incontestabili.

Sulla inquietante scena unica opera di Rumi Matsui ancora una volta perfettamente illuminata dal light designer Valerio Alfieri, si sono mossi sotto la regia di Masahiko Shimada gli interpreti di questa prima assoluta che, per quanto ci riguarda, ci auguriamo non resti “prima e ultima” rappresentazione anche fuori dal festival pucciniano. Prima di un giudizio, una considerazione: cantare e interpretare quella partitura non è cosa facile e solo chi l’ha sperimentata nei pochi giorni a disposizione per la preparazione ne sa davvero qualcosa. Partitura non facile neppure per l’Orchestra del Festival Puccini che, sotto la guida esperta del Maestro giapponese Naoto Otomo, ha saputo dare davvero una bella prova delle proprie possibilità.

Al baritono Vejo Torcigliani “costretto” a sola voce recitante, il compito di dare voce e corpo al Poeta, cosa che ha fatto con maestria per tutto il corso dell’opera muovendosi nella storia come coscienza critica di quei fatti. Nella parte della suora, il soprano Valentina Boi è risultata più che credibile, specie nel duetto con Suzuki, dove maggiore era la tensione emotiva e il contrasto tra i due personaggi.

Qualche difficoltà di comprensione per Mayuko Sakurai la cui voce, nell’occasione, non ha reso giustizia alla stupenda figura di Suzuki. Bravi Vincenzo Serra (McCallum e Levaine) ed Eugene Villanueva (Noda).

Due voci interessanti ma da risentire in altre opere per meglio apprezzarne colori e timbri, quelle dei due protagonisti, la soprano Rossana Cardia che ha interpretato Naomi, e Angelo Fiore, Junior Butterfly. Entrambi ben presenti scenicamente sul palcoscenico, hanno dovuto far i conti con quella musica certamente non vicina ai loro precedenti ruoli. Entrambi però, e la Cardia in particolare, hanno saputo creare i presupposti per raccogliere caldi applausi anche durante le loro performance da un pubblico che, se non numeroso come nei precedenti spettacoli del Festival, hanno seguito con attenzione ed interesse questa novità che la 60^ edizione del Festival Puccini ha voluto affiancare, in occasione del suo 110 anno dalla prima messa in scena, all’indimenticabile, dolcissima Madama Butterfly che proprio sulle rive del lago dove si specchia il gran teatro ha visto la luce.

Stefano Mecenate

 

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