Il ritorno a sé . Fun-Chang Usa ciò che sei, Edizioni Amrita

L’uomo, essendo per attitudine un essere “pensante” è portato a porsi continuamente delle domande. Si interroga su se stesso, sugli aventi che gli accadono o non accadono, sul modo relazionato, direttamente ed indirettamente a lui.

A volte, purtroppo, questa frenesia del “voler conoscere a tutti i costi” del voler osservare tutto, risulta essere inconcludente o addirittura uno spreco di tempo.

Nel racconto di Fung Chang, il protagonista apparente, l’imperatore di Yo Lang, si rende conto che pur osservando con sempre maggior attenzione ciò che succede attorno a lui, riesce a vedere sempre meno riuscendo solo a sentirsi sempre più frustrato.

Il lettore verrà portato a chiedersi se questo imperatore sia veramente esistito, se vi fosse in Cina veramente la città di Yo Lang, distrutta dal terremoto e poi ricostruita dai sopravvissuti. Nella prefazione del racconto gli editori sottolineano che trovare domande a queste risposte non è importante: è importante leggere questa “favola iniziatica” con gli occhi di un bambino o di chi nel proprio intimo è rimasto tale. Solo infatti liberando la mente dal “perché” si riesce a fruire di ogni singola parola e di ogni singolo passo del racconto.

La storia è molto lineare: un imperatore in Cina. Votato a vivere la sua vita al meglio, si rende conto di essere insoddisfatto del proprio operato. In seguito ad un terremoto che distrugge la capitale del regno ed in seguito all’incontro con un saggio (già incontrato durante la sua gioventù), si rende conto della strada da intraprendere e riesce ad “usare ciò che è”.

Volendo invece razionalizzare ed andando con ciò totalmente contro la vocazione del racconto, non ritroviamo altro che due livelli:

il livello della razionalità, rappresentato dall’imperatore

il livello del vero sé, rappresentato dal saggio

L’imperatore ci viene presentato dal primo istante come un personaggio che vive nel suo pensiero, forse anche un po’ troppo raziocinante. Ha un pensiero che è in sé, che non è produttivo. I tedeschi lo definirebbero un “Gruebler”. Dalla finestra del proprio palazzo l’imperatore osserva quotidianamente i propri sudditi, non riuscendo a spiegarsi, per esempio, come mai il figlio del ministro abbia perso la vita in giovane età giocando con gli amici mentre a corte vi siano ancora cortigiani tanto vecchi da tenersi a malapena in piedi. Durante una di queste sue sedute pensanti l’imperatore si ricorda di avere incontrato un saggio ai tempi della propria giovinezza. Immediatamente subentra però il raziocinio “Magari non era nemmeno un saggio ed era solo la mia inesperienza che me lo faceva apparire tale”. Il suo desiderio tuttavia viene immediatamente esaurito. All’apparire il saggio, viene tempestato di domande sul senso della vita, domande a cui il saggio replica facendo riferimento alla semplicità della natura ed alla suddivisione di ruoli che esistono in natura. Ma all’imperatore questo incontro non è sufficiente per fargli cambiare la visuale. E’ necessario un “evento catartico”, evento che nel racconto è rappresentato dal terremoto con la nuova visita del saggio: è infatti necessario che appaia ancora una volta il saggio ad indicare all’imperatore come utilizzare gli strumenti della natura, gli strumenti che lo circondano per esprimere meglio se stesso.

Cambiando infatti il suo atteggiamento di fondo, l’imperatore riesce assieme ai sudditi sopravvissuti a ricostruire la città capitale dell’impero arrivando anche a comprendere la differenza tra timore e rispetto.

Non si può vivere né ancorati al passato né posti già nel futuro, bisogna vivere bene nel presente usando al meglio le proprie capacità.

Sono sicuramente frasi semplici, possono sembrare atteggiamenti banali o conclusioni scontate; eppure dobbiamo ammettere che ci risulta difficile guardare alle cose con la purezza di un bambino anche perché la società ci “costringe” ad assumere maschere diverse con cui, inconsciamente, diventiamo un tutt’uno.

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