Cosa vorremmo fare da grandi

Abbiamo incontrato Ivan Baio che, assieme ad Angelo Orlando Meloni ha scritto il romanzo Cosa vuoi fare da grande in cui i sentimenti sono trattati con delicatezza e verità. Una storia su due bambini e il loro futuro che semina ironia e malinconia, lasciandoci alla fine, sbalorditi, di fronte alla domanda che non dovremmo mai smettere di porci.

 Ivan

Vivevi in Italia e ti sei trasferito in Germania. Come mai?

Roma era diventata invivibile, la gente era (è) stanca, infelice, spaventata e arrabbiata. Avevano ragione ad esserlo, ma i sentimenti deteriori, se molto diffusi, sono come virus letali. Per non parlare del carovita. In realtà non mi sarei mai spostato in Germania se non vi fosse stata Berlino, la nuova capitale culturale di una Europa in transito con un futuro colmo d’interrogativi. Ora vivo nel posto dove le cose belle hanno luogo. Una città multiculturale dove lo scambio e il networking appartengono alla quotidianità, dove le tasse e la burocrazia sono più che ragionevoli, dove si respira aria di libertà e di opportunità, dove lo stress semplicemente non esiste.

 

 

Come è nato questo progetto con Angelo?

Io e Angelo abbiamo letto e scritto per anni l’uno le cose dell’altro. Io ho sempre avuto il pallino per le “Macchine” (a mesi verrà pubblicata una raccolta di racconti intitolata, appunto “: macchine”) e Angelo aveva in mente il futurometro quindi mi sottopose l’idea e tirammo giù, assieme, la prima stesura.

 

I protagonisti  del vostro romanzo sono in qualche modo ribelli. Concordi?

Personaggi di questo genere sono la prova che vi sono vie alternative e “vere” al vivere nell’omologazione, vie che ci avvicinano alla felicità. Ecco, la felicità è uno degli elementi latenti ma presenti di “Cosa vuoi fare da grande”

 

Una scuola a caso finisce nel mirino del “futurometro”. Come mai la decisione di una scuola del Nord Italia?

Non c’è una ragione “politica”, dietro questa scelta. Semplicemente io ho vissuto infanzia e prima adolescenza a Milano e così senza accorgermene iniziai a descrivere la mia scuola, anche i nomi di Guido e Gianni vengono da lì, dritti dritti dalla sezione B della scuola elementare di Via Palermo a Milano che ho frequentato nei primi anni ’80.

 

Che funzione ha la scuola nella formazione dei bambini e che influenza può avere sul loro futuro?

Funzione straordinaria. Decisiva. Credo che in gran parte ciò che saranno quei bambini dipenda dalle loro maestre, tanto più quanto l’apporto formativo dei genitori venga meno.

È il momento in cui si impara la socializzazione, il gioco, l’utilizzo speculativo del proprio linguaggio, i modi dello studio, i risultati dell’allenamento e dell’impegno in qualunque campo…

 

C’è differenza nella scuola tra quando eri bambino tu e oggi?

Non posso che averne un’idea indiretta, ma quello che mi arriva non è certo incoraggiante.

La questione delle responsabilità però è complessa. I bimbi arrivano a scuola con bagagli diversi, strumenti diversi. La brava maestra deve saper gestire tutto questo, e, cosa più onerosa, “i genitori”. Nella storia che raccontiamo, le madri dei ragazzini hanno un ruolo importante nel fotografare il nostro paese, non solo l’istruzione.

 

Ci sono professioni che, secondo te, i bambini di oggi sognano di fare domani?

Mah, credo il problema sia proprio questo, si sogna di meno, e, già alle elementari, i ragazzini hanno una mente pratica. Niente di male nella praticità, anzi, nella vita è utilissima, ma non avere un sogno significa spesso disabituarsi al desiderio, non sentire il bisogno di mettersi alla prova, giungere impreparati agli appuntamenti più importanti della vita. La mortificazione della fantasia è l’esordio di menti destinate all’aridità, incapaci di astrazioni, e quindi di familiarizzare  con l’invenzione, l’ironia, il volo pindarico. È una condanna a fare a meno della capacità di essere “plastici” rispetto a ciò che ci accade, potrebbe significare non vedere soluzioni al dolore, alle responsabilità, agli imprevisti dell’esistenza.

 

Tu cosa volevi fare da grande?

Da piccolo avrei voluto fare il pasticcere. Ora vorrei poter fare lo scrittore, avere il tempo di pensare all’uomo e ai “sistemi sociali” in cui si rintana e poi scriverne a modo mio. Da grande vorrei poter avere un bambino a cui fare la stessa domanda e godermi l’attimo infinito prima della sua risposta.

 

 

Elisa Cutullè

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