Festival del Cinema Italiano di Villerupt – La storia

Villerupt è una cittadina francese di circa diecimila abitanti al confine con il Lussemburgo, a pochi chilometri dal Belgio e dalla Germania.
Nel passato è stata una città di miniere e ferriere e, come tale, di forte immigrazione, italiana ma non solo. Dalla fine degli anni ’70 la siderurgia è scomparsa, a testimoniare del passato
restano solo alcuni quartieri di case operaie. Oggi, per lo più, la popolazione lavora in Lussemburgo.

Nel 1976, è nato un po’ per caso il Festival du Film Italien de Villerupt. Nell’ambito della Maison des Jeunes et de la Culture, un gruppo di giovani cresciuti nei ciné-club organizzava vari week-end tematici, western, commedia, fantascienza… e quella volta, sull’onda del successo che il cinema italiano aveva in Francia, dal 9 al 14 novembre 1976, costituì una rassegna di una ventina di film in anteprima o in distribuzione, tutti in versione originale con sottotitoli in francese. L’insolito numero di spettatori (oltre 3.500) indusse gli organizzatori a replicare l’anno successivo con maggior successo e via via fino a giungere a oltre 30.000 presenze nel 1983.

Gli organizzatori, tutti volontari, erano circa una decina e pochi parlavano italiano. Ognuno aveva responsabilità diverse a seconda delle competenze ma le decisioni spettavano al collettivo, in armonia con lo spirito dell’epoca. Il gruppo poi si allargava a circa un centinaio di persone durante il periodo del Festival. In città era rimasto un solo cinema, occorreva
quindi allestire certi spazi, la mitica Salle des Fêtes de l’Hôtel de Ville (600 posti), riaprire i cinema chiusi da vari anni ma ancora agibili, organizzare una mensa per il numero crescente di spettatori che venivano da lontano perchè Villerupt non aveva nessun ristorante. Il numero dei film salì fino a trenta, il Festival si allungò a due settimane per comprendere
i ponti di Ognissanti e dell’11 novembre, festa nazionale francese. In programma, tutta la commedia largamente importata in Francia, i film di impegno sociale, i maestri (Petri, Rosi, Visconti…) e un’apertura a nuovi autori. Primo ospite del Festival, Mario Brenta, presente alla seconda edizione per presentare Vermisat (1977). Seguirono poi Luigi Comencini, Ettore Scola, Francesco Rosi, Florestano Vancini, Franco Nero, Paolo Taviani, Nanni Moretti, Ugo Tognazzi, Franco Brusati, Luigi Magni, Lina Wertmüller…

All’inizio il pubblico era locale e composto da molti italiani o discendenti di italiani. Poi, man mano, si è allargato a tutta la Grande Région SaarLorLux (Saar, Lorena, Lussemburgo), con un numero sempre maggiore di spettatori cinéphiles che venivano a vedere film invisibili altrove.

Il Festival si è fermato nel 1983, subendo con ritardo la grave crisi del cinema italiano assieme a quella delle attività tradizionali della zona e la conseguente diaspora di tanti organizzatori. Nella regione, per molti, quel periodo è diventato mitico ed è legato al ricordo di sale sempre piene. Alcuni film quali Pane e cioccolata, La classe operaia va in paradiso, Amarcord, Una giornata particolare, Un borghese piccolo piccolo…

Nel 1986, alcuni organizzatori sono riusciti a creare un nuovo gruppo e il Festival ha ripreso. All’inizio gli spettatori sono rimasti sconcertati dalle novità proposte. La crisi dei generi tradizionali generava nostalgie e ci sono voluti alcuni anni per imporre i nuovi autori e i nuovi attori. Ma all’inizio degli anni ’90 i film di Tornatore, Verdone, Salvatores, Moretti, Mazzacurati, Nichetti, Luchetti, Benigni attirano di nuovo oltre 30.000 presenze ad ogni edizione.
Nel 1998 il Festival si è professionalizzato e ristrutturato, staccandosi dalla Maison des jeunes et de la culture, ma alla manifestazione continuano a collaborare oltre cento volontari. Lo schema culturale viene definito nella forma attuale e il numero dei film portato oltre i sessanta. Ogni anno il Festival comprende una sezione tematica con una retrospettiva, un panorama dei film dell’anno e vari concorsi con altrettante giurie. La selezione dei film mira soprattutto a riflettere quanto possibile l’attualità del cinema italiano di qualità senza nessuna autocensura, anche e soprattutto quando autori, attori e tematiche sono ignorati in Francia. Contro il luogo comune “le cinéma italien est mort”, contro coloro che decretano declino e rinascita solo attraverso le sezioni del Festival di Cannes e contro i nostalgici di ogni sorta per cui ogni novità può essere considerata solo se ricorda il neorealismo o la commedia
all’italiana. L’adesione del pubblico (oltre 40.000 spettatori nel 2015), più giovane, più internazionale, dimostra la validità di quella strategia, convalidata anche dalle istituzioni francesi, lussemburghesi e italiane.

Il successo della manifestazione e la sua originalità (Villerupt non ha nessuna delle caratteristiche delle località di festival) hanno suscitato l’attenzione di molti studiosi e ricercatori che ne volevano definire l’identità, tra emigrazione e operaismo, etnografia e multiculturalismo, ma gli organizzatori non intendono farsi imprigionare in quelle categorie. Chiaramente
il Festival è al centro di una zona di italianità diffusa (ma i sottotitoli sono indispensabili per la stragrande maggioranza degli spettatori) e contribuisce tuttora a aggiornare l’immagine dell’Italia e della sua produzione culturale, però non è quella l’ambizione degli organizzatori. Essi intendono soprattutto contribuire in maniera non polemica ad un ampliamento dell’offerta cinematografica per un pubblico vario per età e cultura a cui offrire la possibilità di un’esperienza culturale insieme popolare ed elitaria, l’incontro diretto con le opere e con chi
le produce, al di fuori delle classiche mediazioni dell’industria culturale.

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