Alessio Pianelli e la sua Sicilia in musica

In tempi di COVID-19 viaggiare diventa un lusso. Perché non partire, allora, verso un viaggio musicale dedicato ad una delle più affascinanti isole italiane, la Sicilia? Alessio Pianelli, giovane cellista e compositore italiano, ha appena pubblicato il suo Album «A Sicilian Traveller».

Gli abbiamo chiesto di darci qualche dritta musico-sociologica.

 

Come mai questa dicotomia del viaggiatore siciliano?

È quasi un sunto della mia identità. Sono nato e cresciuto in Sicilia, acquisendone gli odori, i colori, i sapori. Dai miei 19 anni la musica mi ha portato a viaggiare costantemente. Prima ho vissuto a Como, poi sono andato a Basilea e tutt’ora vivo tra Basilea, Roma e Trapani. Nell’era pre-covid, inoltre, i miei concerti mi portavano a viaggiare costantemente ed esplorare nuovi paesi ogni settimana. La Sicilia è un’isola dalla grande energia: la forza della sua natura e il respiro della sua cultura è capace di penetrare fortemente l’animo di un suo abitante. Questa energia rimane dentro e funziona quasi come un magnete. Pur non vivendo li ormai da più di un decennio, ha un’attrazione forte, il confronto con le nuove culture è costante e questo ti fa sentire un eterno viaggiatore.

 

 

È un viaggio musicale atemporale attraverso i secoli. come si articola?

Si parte dalla Georgia con le 7 Miniature di S. Tsintsadze per passare in Armenia con la meravigliosa musica di Padre Komitas, il quale ha salvato gran parte della musica popolare armena dal genocidio. Due delle 24 Negro Melodies di S. Coleridge-Taylor, compositore britannico originario della Sierra Leone preparano l’ascolto ai 3 set finali, caratterizzati da grande forza, energia, cantabilità e virtuosismo: le danze rumene di B. Bartok, le danze greche di N. Skalkottas e le mie variazioni su un tema popolare siciliano, il famosissimo “Ciuri, ciuri”.

 

 

Elementi classici che si fondono con moderni… come si crea l’atemporalità?

La musica è essa stessa atemporale, ma lo è poiché accade nel tempo dell’ascolto.  Ogni musica ha un inizio e una fine, e in mezzo noi inventiamo un tempo interiore, e condiviso nell’ascolto, che è diverso dal tempo dell’economia, dal tempo delle cose utili e pratiche. In sé la musica è anche senza una precisa ideologia politica, ma è anche politica perché i canti raccontano storie, e anche perché l’ascolto è condivisione quindi comunità, e ciò accade sia nello spazio che nel tempo. Ed è questo uno dei messaggi principali dell’album. La musica è un linguaggio in grado di connettere le persone perché è al tempo stesso semplice e inarrivabile. Nel momento in cui viene percepita è già passata, è inafferrabile ma coinvolge.

Può avere stili diversi e può essere addirittura utile a fare una mappatura filologica dell’umanità, ma è nel suo elemento base, il suono, che trova la sua forza e che connette qualsiasi essere umano all’altro e all’intero universo.

 

Quali peculiarità sicule ti hanno guidato negli arrangiamenti?

Come ho detto prima, la Sicilia non è solamente un luogo della geografia fisica, ma un vero e proprio polo di fortissime energie che si fondono con l’essere della persona che la vive. Nell’arrangiare i brani non mi sono particolarmente preoccupato di dare un imprinting siciliano, semplicemente perché non ne ho trovato l’esigenza. È siciliano ciò che attraversa l’isola, disposto a dialogare con tutti gli elementi diversi che in Sicilia convivono e trovano tanti diversi modi di essere armonici tra loro. Nello stilare la tracklist del CD, ho scelto tutti quei brani popolari apparentemente diversi tra loro, proprio perché istintivamente ne ho trovato subito i punti in comune, i colori, i respiri, la voglia di vita, l’umanità e questi sono gli aspetti che mi hanno guidato negli arrangiamenti. La comunione nella diversità è di per sé un imprinting siciliano.

 

Quanta mescolanza culturale si trova in Sicilia?

Dalla preistoria ad oggi, la Sicilia è stata abitata dagli indigeni del medio oriente, i fenici, i greci, i romani, i popoli del nord, gli ostrogoti, i bizantini, gli arabi, i normanni, gli svevi, gli angioini, gli aragonesi, gli spagnoli, i sabaudi, gli austriaci e, negli ultimi tre decenni la Sicilia accoglie anche una nuova ondata dal nord Africa, che nell’isola può sentirsi a casa propria anche per il fatto che i loro antenati hanno già contribuito nei secoli passati alla sfaccettata cultura siciliana. Più che cercare di quantificare la mescolanza culturale in Sicilia, direi che la Sicilia è essa stessa una mescolanza culturale. Sono state talmente tante le dominazioni e innumerevoli i transiti in Sicilia, da creare un’unica, immensa cultura simile a un mosaico. In un mosaico, se ti avvicini molto, puoi distinguere ogni tessera con la propria identità specifica, e se guardi da più lontano vedi la figura totale che tutte le tessere compongono.

 

 

Cosa significa mettere a nudo, per te, la tua appartenenza musicale al pubblico? Come viene percepita?

Essere un artista è un’esigenza ma diventa, a un certo punto, anche un dono, una missione. L’esigenza egocentrica di fare arte e di comunicarla agli altri parte da un disagio e da un bisogno di attenzione che può portare ad altissime meraviglie ma che lascia un costante vuoto dentro il proprio animo. Se si è fortunati, la vita può portare, ad un certo punto, a comprendere che l’arte può essere “semplicemente” quell’altruistico veicolo, un veicolo verso l’altro, un parapendio pluriposto che, tramite bellezza, verità e riflessione serve la tratta umano-divino attraverso quella umano-umano.

 

Elisa Cutullè

 

Foto di Francesco Ferla

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