Il musicista americano, conosciuto come chitarrista del gruppo rock Combichrist, è anche membro fondatore, nonché cantante e chitarrista del gruppo newyorkese Sex Slaves.
Abbiamo incontrato il simpatico musicista prima del concerto di Saarbrücken, la scorsa estate.
L’ultimo album di Combichrist, One Fire è uscito quest’anno. Quanto lavoro ha richiesto?
I nostri album sono il risultato di mesi di input sensoriale: cosa che vedi, sensazioni che provi, libri che leggi, trasmissioni che vedi in TV. Raccogliendo tutte queste ispirazioni la creazione effettiva dell’album, realizzato in isolamento, può avvenire anche in pochissimi mesi. Il 99% dell’album è frutto del lavoro di Andy (ndr. Andy LaPlegua, leader e solista). Visto che, nel periodo di creazione lui abitava negli USA e io in Germania, lui mi mandava le tracce e io lavoravo sulle parti per chitarra. A volte il lavoro piace, altre volte no. Non è che andiamo sempre d’accordo, ma Combichrist non è una democrazia, bensì una dittatura. Questo rende anche molto più facili i processi decisionali.
In generale penso di dare un grande contributo creativo, in parte nell’album, ma, soprattutto, negli spettacoli dal vivo: la selezione delle canzoni, come presentarci sul palco, la nostra interazione con il pubblico e, per quanto riguarda me, inserire parti con la chitarra che non sono nell’album e anche cantare.
Creatività sul palco. Differisce per tipo di palco/pubblico?
Noi cerchiamo di creare continuità, indipendentemente dalle dimensioni del palco, cercando di stabilire un contatto con il pubblico, sia che si tratti di 20.000 che di 200 persone. Non vogliamo che ci sia l’artista e il fan, vogliamo che ci sia un gruppo che è insieme nella musica. Quando siamo ad un festival, da un lato c’è maggiore distanza con il pubblico, ma, dall’altro, vedi quelle migliaia volti felici e mani che applaudiscono e questo ha un certo impatto. Nel caso di un concerto in un locale più piccolo, cambiano i parametri perché siamo molto più vicini al pubblico, vediamo davvero ogni singola emozione, sentiamo ogni parola. Dire che non importa se grande o piccolo, importante è che il pubblico sia attivo e coinvolto. Non tutte le città hanno grandi sale per concerti ma non per questo devono diventare di serie B.
Un pubblico attivo: è questo quello che ti dà energia durante un concerto?
Sono, senza dubbio i fan che vivono la musica. Dal nostro lato, considerando che al setlist è quasi la stessa tutte le sere, si potrebbe pensare che, ad un certo punto il tutto diventa noioso. Invece no, perché il pubblico, che cambia ogni sera trasmette sempre fortissime emozioni. È impagabile guardare i fan e vedere nei loro occhi e nei loro volti emozione e felicità ed è proprio questo che mi porta a dare, ogni sera, il massimo di me stesso sul palco.
Hai detto che la setlist è la stessa, quasi tutte le sere. Ora, con l’uscita del nuovo album, avete presentato anche delle nuove canzoni. Come è stata decisa, in questo caso, la scaletta?
È una grandissima sfida, perché hai un tempo limitato in scena. Già era difficile scegliere i brani prime del nuovo album, figuriamoci ora. Da un lato bisogna presentare alcune delle nuove canzoni dell’album e, dall’altro, non puoi non mettere in scaletta i brani preferiti dai fan. La sfida consiste nel creare una scaletta interessante che invogli tutti a tornare per un nuovo concerto.
All’inizio del tour avevamo solo uno dei nuovi brani in scaletta “Hate like me”, poi vi abbiamo anche aggiunto uno dei brani più pesanti “Guns at Last Dawn” e ora abbiamo anche aggiunto il brano che dà il titolo all’album “One Fire”, più complesso da suonare live.
Personalmente ritengo che “Hate like Me” sia una canzone perfetta per il live. All’inizio, lo ammetto non ero convinto al 100% che fosse la canzone ideale da suonare come prima canzone. Ora, dopo aver fatto un paio di date, mi rendo conto che è proprio la canzone perfetta per iniziare lo spettacolo, perché il pubblico la recepisce immediatamente.
In effetti, finora nel tour abbiamo potuto notare che il pubblico adora anche il nuovo album.
Come hai detto, la discografia di Combichrist è immensa. C’è però una canzone che, finora, non è masi stata suonata live e che tu, invece, pensi che meriterebbe esserlo?
Ne scelgo una dell’album appena uscito, “Lobotomy”. Quando l’ho sentito per la prima volta, mi è sibut venuto naturale pensare agli amanti della musica Goth che frequentano eventi come l’Amphi Festival o il M’Era Luna, danzare sulle note di questo brano. Ma non solo, penso che sia la canzone ideale da ballare. E sai qual è la cosa più assurda? Che, sul disco è un brano sena tracce di chitarra. Quindi, se dovessimo suonare il brano live, diventerebbe per me una sfida inserire le parti per chitarra, senza destrutturare il brano.
Il vostro Tourè molto intenso e ci sono tantissime date in tutto il mondo.
Sì, abbiamo iniziato con 8 settimane negli Stati Uniti, poi ci sono state altre 10 settimane in Europa e poi anche l’Australia. In genere siamo in giro dal Aprile a Novembre compreso. 9 mesi su 12 in giro.
Quanto tempo ti rimane, dunque, per lavorare su altri progetti?
Molto poco a dire il vero. È proprio in questi casi che ognuno di noi, come anche io, deve cercare di ritagliarsi dei momenti liberi. Non funziona mai mettersi in testa di completare qualcosa, entro una determinata data, perché possono accadere imprevisti. Allora si coglie l’attimo favorevole e si cerca di fare qualcosa appena c’è un attimo libero. Spesso capita che il giorno, cosiddetto libero, è, in realtà un giorno trascorso tra viaggio, spostamenti e controlli doganali varie. Però, durante un tour, finora, siamo sempre riusciti a ritagliarci due veri giorni liberi, che ci hanno permesso, di rigenerarci mentalmente e fisicamente.
Rimane tempo per la vita privata?
Cos’è una vita privata? Io non ho una vita privata. La mia vita è pubblica e si svolge principalmente sul palco e sui social media.
Quando non sono sul palco mi rilasso e mi godo la vita: mi dedico ai progetti musical, vado in giro per le città in cui ci esibiamo e apprezzo il buon cibo.
Elisa Cutullè