Annalisa e Leonardo- Il pas-a-deux fu galeotto

(c) Elisa Cutullè

Il programma dei Dresdner Musikfestpiele (dal 10 maggio al 10 giugno), ha avuto in cartellone, il 19 maggio, la «Tango-Operita» di Astor Piazzolla «Maria de Buenos Aires”.

Uno spettacolo che trasporta il pubblico in una milonga, lontana da tempo e luogo e avvolta nella musica.

Composto, originariamente per la radio argentina nel 1969, si basa sulle liriche del poeta uruguaiano Horencio Ferrer. È un’opera che fonde il folklore argentino con il jazz e la musica moderna. Piazzolla diviene, con questo processo, che lo porta a comporre oltre 300 tanghi, il rinnovatore del tango argentino, creando un »tango nuevo«.

Maria, nata e cresciuta in periferia, in assoluta povertà, considera il tango qualcosa in più di un semplice ballo: per lei rappresenta la forza di abbandonare l’anonimità, senza speranza, del ghetto periferico e trasferirsi a Buenos Aires, per restarci. Il tango sembra fornirle un’energia, continua e onnipresente, che le permette di spianarsi la strada per spettacoli nei locali e, ahimè, anche nei bordelli della città. Il tuo con uno scopo ben preciso: la sua ascesa e il proprio riscatto sociale. Maria sente in sé, e stimola negli altri che la vedono ballare, la passione sfrenata…tanto da diventare un tutt’uno con il ballo stesso. Un seguirsi di ritorni storici dell’essere, del divenire e della caduta: situazioni di vita inscindibili dal tango, vitale e affascinante.

E anche lo spettatore si sente parte integrante dello spettacolo, diventandone scenografia e comparsa allo stesso tempo.  Radek Stopka (messa in scena e coreografia) si avvale di Guido Petzhold (scenografia, video, luci) per integrare la maggior parte del pubblico nella scena stessa. Non solo vi sono spettatori fianco a fianco con l’orchestra tanghera diretta da Peter Christian Feigel o sul lato destro del palco, ma ci sono diversi tavoli sul palco stesso. E il pubblico non è più pubblico, bensì parte integrante della rappresentazione stessa: con estrema naturalezza l’uno brinda assieme a Maria e l’altro sta al gioco con il flirt. Difficile trattenersi e non incominciare a ballare assieme ai ballerini o a cantare assieme a Maria (Vasiliki Roussi), al Gorrion (Markus Guenzel) o al Ladron (Christian Grygas), o, anche lasciarsi portare in un mondo fiabesco dalla voce cada del narrante Payador (Jannik Harneit). E anche Thorsten Fietze (costumi) può dirsi soddisfatto perché anche il vestiario del pubblico è adatto all’occasione.

Così si ascolta la voce del payador che racconta la storia di Maria e funge da contrappunto al coro, ci si lascia trasportare dal canto e dal ballo di Maria, nonché dai ritmi sensuali e travolgenti dei ballerini che riescono a congelare i movimenti nei momenti di pathos narrativo.

Nel corpo di ballo anche alcuni ballerini italiani. Noi abbiamo incontrato Annalisa Piccolo (A) e Leonardo Paoli (L).

Due italiani a Dresda per un’operita sudamericana. Quale è la valenza di questa costellazione?

L: Maria è una donna forte che riesce, con il suo potere e le sue movenze, ad ammaliare gli uomini, trasformando in movimento la passione che ognuno di noi ha dentro di sé. Quando abbiamo creato quest’opera la prima cosa che mi è venuta in mente è stato il travolgimento del ballo sulle corde note delle corde musicali. La sensualità di Maria il filo portante dello spettacolo ed è rapportata alla società quasi completamente maschilista, sebbene la passione e i sentimenti siano molto più congeniali alla figura femminile.

A: Dal punto di vista femminile è un’opera difficile perché, per le ballerine, vi sono molte scene di violenza. È fortemente presente il potere dell’uomo che viene usato sulla donna, che mette la figura femminile in una situazione un po’ difficile. È una tango-operita per cui, dal punto di vista della danza, rispetta in pieno la linea guida del tango e delle sue caratteristiche di unirsi, toccarsi.

 

Ci potete spiegare qualcosa di più tecnico sulla coreografia dell’operita che passa da momenti di freeze a balli sfrenati?

L: È una domanda interessante. È vero che siamo “congelati” fisicamente in alcuni momenti, ma è un freeze narrativo, carico di una storia. Si pensi solo al momento di freeze del secondo atto, in cui vi è l’anima di Maria che passa tra di noi. Anche se abbiamo i movimenti di freeze, siamo parte della storia. Si tratta di un puro freeze dinamico, ma non emotivo.

 

E il contatto ravvicinato con il pubblico in questo spettacolo?

A: Il primo spettacolo è stato un po’ imbarazzante ed entusiasmante allo stesso tempo. Sei così vicina al pubblico da guardare le singole persone negli occhi e non ci sei più abituato, perché, durante gli spettacoli normali, il pubblico è come massa, non come singolo individuo. Nel frattempo mi diverto sempre di più, perché, ora guardo le singole persone volutamente e ci gioco.

L: Noi ci esibiamo per regalare emozioni alle persone. E quando riusciamo a vederlo più da vicino è ancora più soddisfacente.

 

Cosa rappresenta la Germania per voi?

L: Innanzitutto un’opportunità. È una terra in cui, ancora, puoi tentare di realizzare i tuoi sogni. Anche in cittadine vi sono diversi teatri, a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, dimostrano come già, in nuce, vi siano più possibilità. Basti pensare che a Dresda vi sono due corpi di ballo fissi.

A: È una terra che, a livello culturale dà tanto. Paradossalmente se si pensa che, noi Italiani, abbiamo una terra considerata la culla della cultura e dell’arte. Purtroppo, ed è cosa nota, le possibilità che l’Italia offre a noi ballerini, e agli artisti in generale, negli ultimi anni sono state molto limitate.

 

Qual è il percorso che vi ha portato a fare parte del corpo di ballo della Staatsoperette di Dresden? È stato facile?

A: È una storia divertente. Ci siamo conosciuti nel 2014 perché, entrambi, prima, lavoravamo per una compagnia di navi da crociera. Ci trovavamo a Berlino per lo stesso casting del corpo di ballo. Poi le nostre strade si sono divise per un po’ e, mentre lui è rimasto a Berlino, io mi ero trasferita a Singapore. Leonardo, nel frattempo aveva avuto la possibilità di fare l’audizione a Dresda e, quando una ragazza del corpo di ballo rimase incinta, me lo fece sapere, suggerendomi di fare l’audizione. L’audizione andò bene e venni presa e, per un anno, Leonardo ed io abbiamo perfino vissuto nello stesso appartamento.

L: Prima di arrivare a far parte del corpo di ballo di Dresda ho fatto tantissime audizioni, con il bagaglio di tutte le mi esperienze precedenti.

 

Quindi Berlino è stata la prima tappa in Germania?

L: Ho studiato a Firenze e, all’inizio vi ho anche lavorato. Poi si sono spostato su Roma, dove ho partecipato ad alcuni musical. Indi, dopo un anno sabatico in cui ho, principalmente insegnato, mi sono trasferito a Verona dove ho lavorato per un anno con una compagnia privata. La tappa successiva è stata Torino, per un master di danza contemporanea. Essendo un mammone non mi sarei mai immaginato di andare all’estero anche perché, in inglese, stavo messo malissimo. Però, quando venni a sapere dell’opportunità di fare un’audizione, colsi l’occasione al volo e finì per innamorarmi di Berlino ogni giorno di più.

A: In Italia ci sono troppi ballerini bravi, anche per le diverse ottime scuole di danza che ci sono, ma troppi pochi posti di lavoro. Io ero arrivata a Berlino un anno prima di Leonardo. Ci siamo conosciuti alle audizioni per le navi da crociera, dove abbiamo ballato un pas-a-deux.

 

La famiglia come ha reagito al vostro trasferimento all’estero?

L: Io avevo frequentato il Liceo Scientifico con tutti i presupposti per studiare medicina. Io invece, decido di fare il ballerino. Credo di aver causato la prima crisi in quell’occasione. Allora in me è nata la voglia di riscattarmi, dimostrando ai miei genitori che si tratta di una professione vera e propria.

A: Avevo 15 anni quando mi sono trasferita, da sola, a Roma per studiare all’Accademia nazionale di danza e vi sono rimasta 7 anni. L’ambiente era, in un certo senso, stagnato e privo di vere e proprie possibilità lavorative retribuite. Si arriva a un punto in cui uno deve pretendere di guadagnare abbastanza per permettersi uno stile di vita adeguato e, allora, l’unica possibilità era quella di trasferirsi all’estero. Così, quando c’è stata l’occasione l’ho colta. Così ho potuto ballare e girare il mondo.

 

Dresda e dopo?

A: In autunno per me c’è di nuovo Berlino. Nulla di preciso ancora in mente, ma vorrei fare qualcosa come freelance per poter crescere come ballerina, imparando altri stili e migliorando me stessa.

L: io rimango a Dresda. Sono curioso di vedere cosa mi porta questo nuovo anno, anche perché verranno due coreografi con cui mi interessa molto lavorare.

 

Elisa Cutullè

 

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