C’è chi canta e c’è chi, come i crooner, diventa un tutt’uno con il microfono, riuscendo a cogliere anche il minimo respiro, trasformandolo in un attimo di vita, un momento eterno. Ed è proprio questa la caratteristica di Gregory Porter, il cantante californiano che divenne celebre nel 2010: quello di non lasciarsi restringere da un genere, jazz o pop, ma di trasformare ogni brano in qualcosa di classico, di già familiare. Per il suo album Liquid ottenne nel 2014, un Grammy ed, in seguito, diversi ECHO.
Cresciuto in un ambiente in cui il gospel regnava sovrano, ne ha mantenuto la caratteristica del senso di comunità: quello che si esibisce, nell’ambito dei 41simi Dresdner Musikfestspiele, sul palco della Semperoper (cornice un po’ insolita per un tale concerto), bensì un artista che, assieme ad altri artisti, si esibisce per amore della musica riuscendo a trasportare il pubblico in mondi musicali di altri tempi.
Uno specchio che non riflette semplicemente il presente, ma lo trasforma, integrandolo con il passato e rendendolo un momento atemporale ed eterno.
Dopo aver iniziato con il brano Holding on, Porter presenta non solo il quartetto d’archi che lo accompagna, il Kaiser Quartett, ma anche la sua band composta da pianista, contrabassista, batterista, sassofonista e keyboarder. Dopo aver ringraziato il pubblico e presentato il programma, inizia il concerto vero e proprio: On my way to Harlem, Take me to the lonely ones, Up On The Roof, Consequence of love, Liquid spirit, Mona Lisa, I wonder who my daddy is e No love dying.
Canzoni più lente per cullarsi sulle memorie dei ricordi, e beat più veloci per inneggiare alla forza della vita e dell’amore, con un pubblico in visibilio, che non si è fatto pregare per partecipare, sia con un ritmico battito di mani che con il canto.
Due i bis concessi: When love was king e Free e proprio su questo ultimo brano tutti i musicisti della band hanno salutato il pubblico con degli assoli strumentali da pelle d’oca.
Elisa Cutullè