Seconda serata decisamente meglio della prima nonostante quella di apertura della stagione presentasse un V.I.P. del calibro di Alfonso Signorini.
Ma andiamo per gradi.
TURANDOT, la stupenda incompiuta di Puccini è stata l’opera che ha inaugurato l’edizione 2017 del Festival Puccini, una delle prestigiose kermesse estive della lirica.
Personaggio clou della serata, per l’insolita veste di regista, Adolfo Signorini, scrittore, giornalista, conduttore televisivo, oggi direttore del settimanale Chi, ben più conosciuto per i suoi ruoli televisivi che per i suoi interessi per l’opera che invece frequenta sin da giovanissimo.
Come accade in questi casi, la Turandot non era più quella di Puccini ma quella di Signorini e le attese sulle sue interpretazioni dell’opera sono stata oggetto di un serrato confronto non solo tra i melomani ma anche nei mass media. Nulla di male, ovviamente: parafrasando un detto latino, “pubblicità non olet” e al Pucciniano la pubblicità non può che far bene per accrescere quella visibilità che pure annualmente già porta un grande numero di appassionati e di turisti ad ascoltare le opere di Puccini nella sua terra e accanto alla sua casa.
Serata di gala quindi con un parterre di ospiti del mondo dello spettacolo, della politica e della moda ed un quasi “tutto esaurito” di buon auspicio per la stagione.
La prima impressione non è negativa: un allestimento in linea con la tradizione, un po’ “fiabesco e disneyano, pieno di luci e ombre come la vita” come aveva preannunciato Signorini in una sua intervista: sobri e pertinenti i costumi di Fausto Puglisi e Leila Fteita, “giuste” le scenografie di Carla Tolomeo.
Le scelte di regia mi trovano in disaccordo su alcuni punti ma credo possa stare nel normale confronto di idee che in questo campo è molto ampio: l’importanza di Liù nella storia non deve passare necessariamente dalla sua quasi ossessiva presenza in primo piano nel corso del primo atto, men che meno come “suggeritrice” di Calaf nel momento degli enigmi (cosa che non le sarebbe assolutamente stata permessa vista la posta in gioco per la Principessa Turandot). In quanto al suo essere in scena post mortem… magari sì ma senza i mandarini inginocchiati davanti a lei (il loro ruolo non permetterebbe un omaggio così prolungato). Interessante invece e decisamente simbolico l’omaggio della corona offerto dalla Principessa “redenta” dall’amore di cui Liù le parlava.
Assolutamente riprovevole, invece, il gioco a rugby dei mandarini con la testa di una delle vittime: né il contesto né il ruolo li porterebbe a simili bassezze anche se Signorini ha scelto per loro più l’identità “gozziana” delle maschere (movimenti scenici e mimica ce lo mostrano ampiamente) piuttosto che quello di depositari di una sapienza antica seriamente preoccupati del destino della Cina.
Ma, come dicevo, sono opinioni opinabili come del resto altre cose che non ho apprezzato ma che, nell’insieme, non hanno leso alla storia e al suo sviluppo scenico che nel complesso è apparso più che accettabile.
Decisamente meno accettabile e del tutto incomprensibile è la parte musicale nonostante la presenza come direttore di un esperto Alberto Veronesi: orchestra fuori tempo, coro inascoltabile e non in linea con l’orchestra, cantanti che hanno mostrato chiari segni di limiti significativi…
Non è questo, a mio avviso, il modo di rendere omaggio a Puccini e alla sua musica. La mia “critica” ancora una volta vuol essere costruttiva e propositiva: una serata “no” è possibile per tutti ed è per questo più che scusabile, ma una somma di cose proprio all’apertura mette qualche legittimo punto interrogativo.
Ad esclusione del trio Tiziano Barontini, Ugo Tarquini, Andrea Zaupa, rispettivamente Pong, Pang e Ping che hanno fatto onorevolmente il loro lavoro offrendo una prova positiva, abbiamo costatato una serie di debolezze che hanno interessato, anche se in misura diversa, tutti i protagonisti di questa serata: Martina Serafin, Turandot, Stefano La Colla, Calaf, Carmen Giannatassio, Liù, per non parlare di Nicola Pisaniello, Altoum, George Anguladze, Timur, Carmine Monaco D’Ambrosia, un Mandarino.
Un “effetto domino” che ha reso decisamente tiepida questa prima serata che ci aspettavamo “col botto” e alla quale il pubblico ha offerto contenuti applausi.
Ma c’è tempo di rifarsi: anche se il cast ruoterà con altri nomi, ancora tre serate (23 luglio, 4 e 12 agosto) attendono la bella incompiuta per restituirle il ruolo che merita.
Decisamente tutta un’altra storia per la seconda serata del festival dedicata ad una delle meno rappresentate tra le opere del Maestro lucchese, LA RONDINE.
Sembrava di essere in un altro luogo ed il pubblico ne ha dato atto durante l’intero svolgimento dell’opera con grandi, caldi, appassionati applausi.
La Rondine, quest’anno al suo centenario dalla prima rappresentazione (l’opera vide la sua per la prima messa in scena il 27 marzo del 1917 al Thèâtre du Casino di Monte-Carlo), è veramente una piacevole “anomalia” nelle composizioni pucciniane. Come giustamente ha sottolineato il regista di questa produzione, il bulgaro Plamen Kartaloff, “…Lo sguardo appassionato e profondo di Puccini sembra uscire dallo spartito coinvolgendo tutti i cantanti in una folle passione giovanile, in un gioco musicale e scenico, dinamico e cinematografico. La musica brucia di emozione, passione, ironia, seduzione in ogni battuta e in ogni segno della partitura. Un caleidoscopio di mistero amoroso, poesia, desiderio. La trama di un ritratto in estasi e ottimismo tra realtà e illusione“.
In questo allestimento del Teatro del Giglio di Lucca, tutto è stato piacevole ed emozionante pur nella sua “normalità”. Piacevole le scene, anzi quella scena unica che sa muoversi con eleganza e funzionalità nel corso dei tre atti disegnando location diverse e regalando emozioni notevoli, di Giuliano Spinelli, pertinenti ed efficaci i costumi affidati alle mani esperte di Florida Benedettini e Diego Fiorini, eccellente la regia del grande Plamen Kartaloff, regista e direttore artistico del Teatro Nazionale di Sofia specializzato nella regia d’opera con un elenco di spettacoli operistici da lui firmati sui palcoscenici più famosi in Germania, Svizzera, Grecia, Serbia, Croazia, Romania, Egitto, Stati Uniti d’America, Australia.
Ottima, sia in termini di puntualità che di capacità emozionale, la direzione della ventisettenne Beatrice Venezi che torna al Pucciniano dopo la sua precedente esperienza con la Turandot di Busoni. Per lei questa volta il gran teatro all’aperto e non più l’auditorium ed un’opera che “…mi piace proprio per le sue caratteristiche ‘diverse’. C’è un’invenzione melodica straordinaria ma anche uno stile di canto moderno ‘di conversazione’. Ci sono fox-trot e altri balli alla moda, il pop di allora. E molto valzer, come un’operetta vera”.
Merita ricordare che Beatrice Venezi è stata designata per il 2018 direttore principale ospite del Festival Puccini. Un incarico prestigioso che oltre alla direzione d’orchestra, avrà il compito di sviluppare il progetto della Fondazione Festival Pucciniano “Pacini Renaissance” per riscoprire un grande operista profondamente legato al territorio lucchese come Giovanni Pacini, considerato tra i più grandi compositori del XIX secolo.
Discrete ma efficaci le coreografie di Cristina Gaeta che armonizzano con quel racconto dell’opera quasi sussurrato per lasciare che memoria e nostalgia si approprino dell’animo del pubblico conquistandolo ulteriormente.
Viene alla mente, quasi per opposizione, l’animo del Compositore in quel difficile travaglio che ha dato vita a Rondine. In una lettera del marzo 1915 ad Adami scrive: “…La solitudine è vasta come un mare, è liscia come un lago, è nera come una notte, è anche verde come la bile!
L’indecisione attuale sfibra, sfinisce, urta e abbatte. (..) Io imbecillisco come una rupe che tace e ingrigisce alle percosse del tempo. Le rondini girano, la mia mi fa girare. Gli austriaci hanno la corona mia, io ne sono senza: sono come un re di Tarocchi. La musica? Non rispondo. Al vento, al vento le ceneri dei suicidi. Le proposte di Ricordi avviliscono! Insomma, questo stato di cose non può durare. Sono solo…”
Buono il cast che se non fosse stato penalizzato da un vento insistente e a tratti così fastidioso da portarsi via un po’ di voce, sarebbe stato ancor più apprezzato: come sempre brava ma questa volta ancora più dentro il personaggio in una piacevole alchimia, Donata D’Annunzio Lombardi è stata una bella Magda, misurata, intimista, profonda. Contraltare di non minor bravura Elisabetta Zizzo, Lisette, che avevamo apprezzato lo scorso anno nel ruolo di Musetta, ruolo che replicherà anche quest’anno nell’allestimento che ricorda il grande Jean Michel Folon. Ottima la sua interpretazione vocale e interpretativa della giovane cameriera di Magda, brillante ma mai sopra le righe.
Buona la prova di Alberto Petricca, Prunier, e di Leonardo Caimi, Ruggero, positiva anche quella di Davide Mura, Rambaldo. Allo stesso modo ricordiamo gli altri nomi di questo cast che è stato premiato con una vera valanga di applausi che li hanno seguiti durante l’opera e hanno raggiunto l’apice al termine nelle ribalte che sono state fatte su sollecitazione del pubblico. Alessandro Biagiotti, Périchaud, Emmanuel Lombardi, Gobin, Claudio Ottino, Crèbillon, Anna Paola Troiano, Yvette, Anna Russo, Bianca, Donatella De Caro, Suzy.
Il palcoscenico del Gran Teatro Giacomo Puccini tacerà per qualche giorno in attesa della BOHEME del 21 luglio, mentre a seguire il 29 luglio, sarà TOSCA. Per “Omaggio alla Francia“, sabato 22 luglio Concerto Sinfonico dell’Orchestra Filarmonica del teatro dell’Opera di Nizza diretta da Győriványi Ráth György, per commemorare ad un anno di distanza le vittime dell’attentato della Promenade des Anglais.
Stefano Mecenate