Non appena si vede il palcoscenico, prima ancora che venga alzato il sipario, allo spettatore sorge il dubbio che questa rappresentazione di Donizetti, curata da Solvejg Bauer, non sarà certamente una rappresentazione classica della commedia buffa che si rifà apertamente ai meccanismi della commedia dell’arte.
Eppure, allo spettatore attento, non sfuggono i continui riferimenti, nascosti, più o meno palesemente, sia nei costumi di Kathrin Engel, nella drammaturgia di David Greiner e nella scenografia di Volker Thiele: l’incipit è palese.
Adina (Yitian Luan) e Nemorino (Carlos Moreno Pelizari), si incontrano a sipario calato ed iniziano il gioco di corteggiamento prima che i diversi tratti di sipario si alzino e lascino spazio alla scenografia imponente.
Lo spettatore è incerto del tempo in cui allocare il tutto, considerando il fatto che i due protagonisti principali hanno una sorta di tablet virtuale che consulatno di tanto in tanto, nonché un paio di occhiali LED con cui sembrano voler leggere los tato del pubblico.
Un luogo fantastico, che si rifà da, un lato, all’esasperazione dell’industrializzazione che «inghiottisce» l’uomo e ne «risputa» una versione dozzinale, priva di identità che cerca di adeguarsi alle convenzioni sociali e alle nuove aspettative. Esemplare, deliziosamente ironico al contempo, il balletto maschile dell’uomo destrutturato che cerca di anelare alla grazia di una vita dignitosa, ma si riduce ad essere una marionetta, decorativa e destinata al divertimento.
Del paese basco traviato dalla guerra non rimane nulla: Belcore (Stefan Röttig) è un aitante comandante che, però, è anch’esso vittima del sistema che lo riduce ad una rotella di un grande ingranaggio. Ha sogni di controllo, di gestione ma non riesce, neppure con l’inganno, ad assicurarsi l’amore di Adina che, dapprima decide di accettare le sue avances e sposarlo, ma poi si rende conto di essere, in realtà, innamorata di Nemorino. Geniale l’arrivo di Dulcamara (Markus Jaursch) in una capsula a metà tra navicella spaziale, sottomarino e calamaro gigante, che riesce ad affascinare gli abitanti del paese e trarre ininganno Nemorino, vendendogli un elisir d’amore che dovrebbe renderlo assolutamente irresitibile.
In effetti, le donne del paese, una via di mezzo tra Xenia la principessa guerriera e creature steampunk, convinte di un presunto arricchimento di Nemorino, iniziano a fargli una corte spietata, legandolo e trascinandolo verso di loro. Lo stesso non è completamente immune e, in certi momenti, si nota l’insicurezza a concedersi a tutte le donzelle piuttosto che desiderare, invano, di poter conquistare l’irraggiungibile Adina. Adina è di un calibro superiore, e lo denota già nel suo abbigliamento, molto steampunk e dark lady, estremamente curato e brillante: paragonati a lei il resto delle donne in scena, inclusa Gianetta (Elena Harsànyi) risultano scialbe e sporche.
Vocalmente, non c’è dubbio, su tutti eccelle Yitian Luan che, oltre a coprire magistralmente l’orchestra dimostrando le sue qualità canore, vive il ruolo, gioca con se stessa e con il pubblico e trasmette l’autenticità di questa donna, egoista, che si rende conto del vero amore, solo quando le viene sottratto.
Eppure, un aspetto che non manca assolutamente in questa messa in scena è l’umorismo, l’essenza dell’ironia, sottolineata dalla musica (direzione Stefan Neubert) in scena e tra il pubblico, che si ritrova a stretto contatto con Nemorino, Dulcamara e Adina.
Lo spettacolo si conclude con la distribuzione, a mo’ di confetti della ricetta dell’elisir d’amore. A parte la peculiarità della preparazione e al dubbioso gusto, la difficoltà principale dovrebbe consistere nel reperire 600ml della saliva di un usignolo. Ai fortunati che ci riusciranno. Buona degustazione.
Elisa Cutullè