Raccontaci qualcosa sul CD che avete registrato ultimamente.
La cosa bella di questo CD e, in generale, del modo di suonare dell’orchestra è che la ricerca alla base del progetto, è comunque la ricerca di un suono il più possibile vicino a quello concepito dall’autore, utilizzando, il più possibile, strumenti originali, ottocenteschi.
Schumann aveva abitato a Dresda, per cui è un autore molto vicino allo spirito della città. Scegliere queste musiche, eseguirle con strumenti originali è un’esperienza davvero unica e rara.
Abbiamo lavorato davvero molto, sia per le prove che per la registrazione, lavorando per moltissime ore al giorno.
Da quanto fai parte dell’orchestra? Come ci sei arrivato?
A Dresda c’è un ambiente molto internazionale, soprattutto dal punto di vista musicale, che si ispira alla corte della prima metà del Settecento. Ho suonato con alcuni musicisti che ne facevano parte e che me ne avevano parlato benissimo. Sono stato invitato a suonare, perché avevo delle caratteristiche compatibili con il gruppo.
È un orchestra che ha elementi che vengono da tutta Europa che si incontra un paio di volte all’anno, per periodi abbastanza lunghi, in modo da poter lavorare assieme sul suono.
L’orchestra esiste dal 2012 e io mi sono unito nel 2015.
La tua esperienza con la Germania?
È un processo molto comune per i musicisti italiani. Si finisce il ciclo di studi in conservatorio (per me è stato quello di Parma) in sede e poi si proseguono gli studi all’estero. La Germania, in questo caso, è una delle mete più gettonate, perché offre molte più opportunità rispetto ad altri paesi. La mia scelta di formazione cadde su Norimberga, perché, durante un concerto, conobbi un insegnante che proveniva proprio da lì.
Da allora, come per molti miei colleghi, la Germania è diventata una tappa di passaggio continua anche perché, a differenza dell’Italia, ogni città ha un proprio teatro e una propria produzione musicale, per cui si moltiplicano le occasioni.
Una volta ho perfino suonato sulla Reeperbahn ad Amburgo in una discoteca. Il pubblico era costituito principalmente da giovani venuti per ballare in discoteca dopo il nostro concerto che iniziava alle 11. Sono rimasto colpito dal rispetto e dall’attenzione con cui questo pubblico ha ascoltato l’Ottava Sinfonica di Beethoven ed ho nutrito anche la speranza che la musica potesse diventare un ottimo mezzo di comunicazione con le nuove generazioni.
Un pubblico giovane non è proprio abituale, vero?
Finora ho incontrato, sia in Italia che in Germania, un pubblico molto curioso e molto attento. Nelle stagioni più istituzionali il pubblico è, senz’altro, più adulto, raramente sotto i trent’anni. Ricordo di aver letto, tempo fa, su un giornale francese un articolo in cui veniva affermato che il pubblico della musica classica ha un’età media di sessant’anni.
Tu, però, eri giovane quando ti sei avvicinato alla musica, vero?
Sì, a sei anni, anche perché il mio strumento, il violino, impone che si incominci presto. Sono stato io a sceglierlo, perché, dopo aver sentito un concerto suonato con il violino, ero rimasto affascinato da questo strumento diviso in due pezzi.
L’inizio non è stato facile, perché ricavare un suono da una violino è un processo che richiede studio e impegno. Ma, con il tempo, i miei sforzi sono stati ripagati con le diverse possibilità di suonare che ho avuto e continuo ad avere.
Sono passato, con gli anni, dalla curiosità per lo strumento all’impegno nel suonarlo, e poi, alla vera e propria passione e, così anche, ragione di vita.
Progetti futuri?
Ho lavorato dieci anni, fino alla sua morte con Claudio Abbado nell’Orchestra Mozart. Questa orchestra è rinata a Gennaio a Bologna e, ovviamente, tutta la stagione concertistica in arrivo con la Dresdner Festspielorchester.
Elisa Cutullè