Federico Longo: uno degli italiani di West Side Story

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Da Ottobre, allo Staastheater di Saarbrücken, è in scena West Side Story di Bernstein.Tra gli italiani sul palco abbiamo incontrato Federico Longo, ballerino di origini calabresi, nato e cresciuto a Roma si avvicina al ballo da sala (standard e latino americano), alla tenera età di 7 anni. Passa alla danza classica appena tre anni dopo e, all’età di 22 anni, arriva allo Staatstheater di Saarbrücken, dopo un passaggio triennale a Dresda. 

 

West Side Story è stato, per te, anche l’esordio sul palco di Saarbrücken. Ce ne parli?

È stata, sicuramente, un’esperienza totalmente diversa dalle mie precedenti a Dresda. Certamente più difficile in quanto, non avevo mai preso lezioni di canto o recitazione, che sono fondamentali per un musical.  Recitare in tedesco, cantare in inglese  non è semplice. Certo, sotto la doccia canto come tutti, ma non lo avevo mai fatto su un palco.

Ho trovato, invece, molto più facili le parti di danza.

 

Da Roma a Dresda e poi a Saarbrücken. Come è nato questo percorso?

Prima di arrivare a Dresda studiavo a Roma. Alcuni miei amici di corso avevano fatto delle audizioni in Germania e molti di loro mi raccontavano dell’esperienza positiva di Dresda. Così cercai più informazioni: ho letto recensioni online e guardato diversi video di balletti messi in scena. Quel ho letto e visto mi è piaciuto, per ci ho deciso di fare l’audizione per Dresda. Così mi sono ritrovato a Dresda e ci sono rimasto 3 anni.

I primi mesi sono stati, ovviamente, quelli più duri, perché ho dovuto adattarmi, anche all’alimentazione. I lati positivi mi hanno, però, sempre spronato anche perché, ho capito, che potevo imparare tantissimo.

Il primo pezzo con cui sono andato in scena a Dresda era di un coreografo italiano, Massimo Girardi, totalmente diverso da quello che ero abituato a danzare. La mia base era principalmente classica, con poche escursioni nella danza moderna e contemporanea. È proprio in questi due ambiti che l’esperienza di Dresda mi ha formato, permettendomi di concepire un nuovo modo di eseguire i movimenti e sentire il corpo.

Trovarsi sul palco della Semperoper, poi, è decisamente imponente, perché si tratta di un palco che ti toglie semplicemente il fiato e, in modo particolare, è un’esperienza unica quando si tratta del primo palco. Avere quest’esperienza in curriculum è un ottimo biglietto da visita per una carriera da ballerino classico e non solo.

Nella primavera del 2016 ho visto il bando dello Staatstheater ed ho deciso di partecipare. Avevo sentito parlare molto di Stjin Celis e la possibilità di lavorare con lui era molto allettante. Così decisi di partecipare all’audizione ed è andata bene.

Mi piace, di Saarbrücken, sia l’atmosfera della città che l’ambiente del teatro in sé con le produzioni e la collaborazione con lo staff. La varietà delle produzioni è molto impegnativa e, talvolta, stressante per il corpo, perché si tratta di imparare diversi stili e movimenti e, quando ci sono, per esempio, le produzioni che prevedono tre stili di coreografie diversi nella stessa serata, il tutto diventa una sfida ancora più grande, sia per la memoria delle coreografie che per la qualità del pezzo. Ho potuto constatare, però, che questo cambiamento porta il corpo ad essere più veloce nel rispondere ed adattarsi.

Multiculturalità e integrazione?

La multiculturalità è un aspetto stupendo: lavorare con gente che vien da ogni parte del mondo, che ha diversi background culturali e formativi è un ambiente che stimola tantissimo.  A Saarbrücken, per esempio, c’è una solla ballerina tedesca, il resto viene da ogni parte del mondo.

Per me è stato sorprendente, come sono stato accolto dai membri più maturi della compagnia di danza. Temevo una discrepanza tra esperienza e anzianità e invece sono stato piacevolmente sorpreso dalla naturalezza dell’integrazione. Noi nuovi arrivati abbiamo tanto da imparare dallo staff più esperto e sarà una bella avventura che potremo vivere assieme.

 

C’è un pezzo che, finora, hai percepito un po’ come una sfida?

Direi forse due pezzi contemporanei creati per il secondo e terzo anno della scuola a Dresda, perché i coreografi hanno, per così dire, creato un pezzo su misura per noi, rispettando i nostri stili. La sfida consisteva, per me, nel sentire il gruppo, nella performance, rimanendo «onesto» con me stesso.

 

Elisa Cutullè

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