FORSE IL GRAN TEATRO INVECE DELL’AUDITORIUM LE AVREBBE RESO PIU’ GIUSTIZIA.
Il destino di certi autori con alcune loro opere sembra irrimediabilmente segnato quando sulla loro strada incontrano artisti del calibro di Puccini. E’ il caso di Leoncavallo e della sua Boheme, di Massenet e della sua Manon e, non ultimo, di Ferruccio Busoni e della sua Turandot.
In quest’ultimo caso, però, siamo di fronte a due opere completamente diverse fin dalla loro genesi: l’una, quella del maestro lucchese, drammaticamente pensata al grande sacrificio dell’amore tanto da inventarsi un personaggio, la schiava Liù, che incarnasse questo amore incontaminato e assoluto capace di incrinare, seppure per un attimo, la freddezza dell’algida principessa Turandot. L’altra, quella dell’empolese Busoni, più vicina alla fiaba gozziana, è invece più un divertissement, ironico allusivo grottesco e al contempo intellettuale nei suoi ammiccamenti alla cultura del suo tempo ed in particolare a cinema verso il quale Busoni guarda con interesse, imponendo all’opera ritmi molto veloci, altrettanto veloci cambi di scena ed una recitazione sopra le righe nello stile del cinema muto.
Impensabile mettere a confronto le due Turandot, troppo diverse tra loro per le intenzioni e
struttura narrativa: decisamente interessante, invece, analizzare quest’opera a se stante così ricca di rimandi e di ammiccamenti a generi musicali provenienti non solo dalla tradizione turca,cinese, persiana e indiana secondo i desiderata dell’Autore, ma anche dai generi più moderni presenti nei musical cabaret.
Se nella Turandot pucciniana è il principe Calaf a innamorarsi follemente della principessa Turandot, in quella busoniana è invece lei a perdere la testa per quel giovane e con lei quasi tutti i personaggi della corte, a partire dal padre di Turandot, l’imperatore Altoum, disperato per le intemperanze della giovane figlia votata al perfido gioco degli indovinelli impossibili e della relativa letale punizione per i perdenti.
Da rilevare la presenza delle tre maschere italiane, Tartaglia, Pantalone, Truffaldino, i primi due Ministri dell’Imperatore, l’altro perfido eunuco agli ordini della spietata principessa che vengono ad animare uno scenario nel quale manca la dolce Liù e appare invece la scaltra serva della Principessa, Adelma, e la Regina madre di Samarcanda madre dell’ultima vittima della feroce Pricipessa.
Dal 1953, ultimo anno in cui l’opera è stata rappresentata in Italia, torna nuovamente in scena a Torre del Lago in anticipo di un anno rispetto al centenario della sua prima avvenuta l’11 maggio 1917 allo Stadttheater di Zurigo. Unico rammarico anziché nel gran teatro Giacomo Puccini, l’opera è stata allestita nel piccolo audiorium Enrico Caruso, decisamente inadatto ad ospitare simili spettacoli anche per l’assenza di una buca che accolga l’orchestra costretta a suonare davanti al palcoscenico.
Un po’ di coraggio in più e certamente il pubblico avrebbe goduto di uno spettacolo davvero interessante vista anche la pregevole idea registica di Alessandro Golinelli (che ha curato anche le scene) che ha voluto ambientare l’opera nel deserto luogo magico per eccellenza, aggiungendo ai personaggi, per rendere più credibile la favola, due Geni, uno buono e uno cattivo che tengono i fili della narrazione.
Regia ottima, dicevamo, attenta ai particolari e perfettamente coerente con lo spirito di favola allegra e lieto fine, mai sopra le righe, mai irrispettosa del testo originale; una lettura che conquista lo spettatore coinvolgendolo in quella kermesse che incalzante ci porta da una situazione all’altra senza soluzioni di continuità. Ottimi pure i costumi, affidati alla esperta e attenta Cordelia von den Steinen che, con semplicità ed eleganza, ha offerto un ottimo esempio di equilibrio tra sobrietà ed efficacia. Poco da fare per il light designer Nino Napoletano: l’auditorium non è certo il gran teatro e quello che sarebbe stato un prezioso gioco di luci che scandiva il tempo e le emozioni è diventato un banalissimo alternarsi di pochi effetti cromatici.
Un plauso, che per primo il pubblico ha tributato calorosissimo, va dato alla direttrice d’orchestra, Beatrice Venezi, che ha dato una lettura entusiasmante di questa partitura non certamente facile al primo ascolto. La sua direzione e l’Orchestra del Festival Puccini hanno regalato l’opportunità di scoprire un autore quasi sconosciuto al grande pubblico e con lui quel fermento musicale che in quegli anni attraversava l’Europa.
Il cast era composto da moltissimi giovani dell’Accademia di alta formazione della Fondazione ed hanno dato prova della loro bravura e del livello raggiunto.
Un’opportunità, quella dell’Accademia, che rappresenta un qualificato punto di partenza messa a disposizione dalla Fondazione, per dare ai giovani di ogni parte del mondo l’opportunità non solo di crescere professionalmente ma di mettersi in gioco, finalmente, sul campo, ovvero su un palcoscenico di prestigio dove conquistarsi il consenso del pubblico.
Non certo esordiente ma una piacevole conferma, Anna Maria Stella Pansini ha dato alla Principessa Turandot cuore e voce cogliendo del personaggio quelle caratteristiche che la rendono decisamente più simpatica dell’omologa pucciniana.
Generoso ed entusiasta Ugo Tarquini è stato un ottimo Calaf che, senza abiti sontuosi, è apparso elegantissimo oltre che vocamente convincente.
Piacevole la triade delle maschere: Vladimir Reuto ha impersonato egregiamente i panni di Truffaldino, come pure Andrea del Conte quelle di Pantalone e Iacopo Bianchini quelle di Tartaglia. Breve ma intensa la prova di Anna Russo, la Regina Madre di Samarcanda.
Positive anche le prove di Donatella De Caro, Adelma, Raffaele Raffio, Barach, e Piero Toscano, Altoum.
Ultima occasione per ascoltarla, almeno per quest’anno (augurandoci che non si aggiunga al già troppo lungo elenco di proposte interessanti che durano una stagione e spariscono nell’oblio), sabato 13 agosto nella quale si alterneranno nuovi giovani voci: Turandot sarà Cristina Martufi, Calaf Michael Alfonsi, Altoum Davide Mura.
Sarà anche l’ultimo opera di questa 62° edizione del Festival Puccininano che ha presentato un cartellone complessivamente di ottimo profilo, scegliendo di affiancare a nomi internazionali della lirica giovani promesse che non hanno tradito le aspettative.
Ma di questo parleremo in seguito, non è ancora tempo di consuntivi: ci aspettano ancora una recita di Butterfly (10 agosto), una di Tosca (11 agosto) ed una della Turandot di Puccini (12agosto) con un cast significativamente modificato avendo come Turandot Tso Han-Ying, Davide Mura come Timur, Amadi Lagha come Calaf e Nicola Pisaniello nei panni dell’Imperatore Altoum.
Stefano Mecenate