“La Chiesa degli acciacchi” e il nuovo libro di Armando Matteo

Tutti muono troppo giovani

ARMANDO MATTEO: “Nel viaggio di ritorno dalla sua visita in Armenia, papa Francesco ha fatto cenno a quanto l’allungamento della vita stia creando situazioni inedite all’interno del panorama ecclesiale. Il riferimento immediato e certamente più eclatante è quello dell’attuale presenza di un papa emerito accanto al Papa. Elogiando lo stile del suo immediato predecessore, ha pure fatto intendere che il meccanismo delle dimissioni – o nel caso citato della rinuncia al ministero petrino – non sarà più un fenomeno isolato: con le sue parole, non ci si può infatti non interrogare su come si possa “reggere la Chiesa a una certa età e con gli acciacchi”.
Questa nota di sano realismo è uno dei grandi pregi dell’attuale pontificato e, come in altri casi, sollecita i credenti a confrontarsi con il mondo nel quale oggi vivono e testimoniano il Vangelo. Proprio di questo mondo uno dei tratti di grande novità è l’inedita longevità di massa dei cittadini dell’Occidente avanzato. Si tratta di un fenomeno che, oltre a quella prima citata, è da supporre avrà grandi ripercussioni sull’esperienza del credere. Si pensi per un attimo alla diminuzione dei battesimi e dei matrimoni canonici, alla fatica ad assegnare una classe d’età per la celebrazione della cresima, all’età media di coloro che ordinariamente partecipano alle celebrazioni eucaristiche, alla crisi del sacramento della riconciliazione, agli immensi seminari e ai grandi noviziati sempre più vuoti, al rapido invecchiamento del clero e dell’episcopato, delle religiose e dei religiosi. Come non pensare ancora al difficile accompagnamento dei grandi anziani ammalati ed infine alla riscrittura totale della “drammatica” che accompagna la celebrazione delle esequie?
Sono tutti fenomenti decisamente legati all’allungamento della vita. Pertanto proprio di fronte alla “quasi immortalità” che la nuova condizione umana assegna ai cittadini occidentali, la Chiesa è decisamente convocata a ripensare in profondità la propria collocazione nella società e le proprie modalità di annuncio, di celebrazione e di pratica della fede, per evitare di finire intrappolata nel cono dell’autoreferenzialità e della chiusura ideologica.”

Il libro
Nessuno, ma proprio nessuno di noi, cittadini dell’Occidente avanzato, accetta più di considerarsi o di venire considerato “vecchio”. A qualsiasi età qualcuno muoia, muore giovane. Anzi: troppo giovane. E tutto ciò perché la vecchiaia nel nostro tempo è scomparsa, ostracizzata, resa oscena, diventata non più degna di venire a parola, praticamente espulsa dal ciclo naturale dell’esistenza umana. Siamo messi così di fronte all’effetto più conturbante che l’odierno fenomeno della longevità di massa ha sull’immaginario diffuso: grazie ad essa, non si pensa di avere oggi una vita semplicemente più lunga dei nostri antenati, il cui ultimo tratto si chiama appunto vecchiaia, naturalmente proiettato sull’evento della morte. Si ritiene piuttosto di avere a propria disposizione più vite, più esistenze, più possibilità, più occasioni, in cui ricominciare sempre daccapo e grazie alle quali potersi sentire sempre giovani e disponibili a nuovi cambiamenti e progetti, eterni tirocinanti nel laboratorio dell’esistenza. In ogni caso mai adulti o vecchi o semplicemente mortali. Ed è per questo che si muore sempre troppo giovani ed alla realtà della morte viene tolto quel valore di questione ultima e decisiva per la qualità della vita stessa. Questo libro interroga in profondità tali cambiamenti, la loro ripercussione nell’ambito delle relazioni educative e sociali, ed infine il loro effetto sulla pratica della fede, mai immune da ciò che tocca l’umano che è comune. Cosa potrà più, infatti, significare credere in un messaggio che parte dall’annuncio della vittoria di Cristo sulla morte, nell’evento della risurrezione, nell’epoca in cui si consuma sempre di più la “morte” della morte?

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