Falstaff- e il XXI secolo

Falstaff

 

Wolfgang Körner, nella sua guida alle opere, descrive il Falstaff di Verdi, come la storia di un  uomo inglese, un po’ troppo grassottello, ma convinto di se stesso e del suo fascino, ragion per cui decide di  gettarsi alla conquista del gentil sesso. Il buon uomo, però esagera, e manda la lettera, identica a ben due donne. Al che loro, per farsene beffa, organizzano una bella presa in giro.

Ultima opera di Verdi, su libretto di Arrigo Boito, composta tra il 1890 e  il 1893, è un ‘opera in 3 atti e 6 quadri che si ispira a ben due opere di Shakespeare: Le allegri  comari di Windsor e l’Enrico IV.

Messa in scena il 9 febbraio del 1893 al Teatro alla Scala, ne ha aperto le stagioni operistiche anche nel 1921, nel 1936 e nel 1980.

Nella prima allo Staatstheater di Saarbruecken, la messa in scena è stata curata da Johnanes Pölzgutter, formatosi a Vienna e che ha curato ,a scorsa stagione , la messa in scena de “Il gallo d’oro”.

Pölzgutter decide di improntare l’opera sul dualismo, sui contrari che si attraggono, sono vicini eppure non uniti,  insieme eppure lontani. La scenografia di Rainer Sellmaier, si presenta come una casa-non casa su due livelli, ma che vive in quattro mondi diversi: quello di Falstaff, del Signor Ford, del Gruppo di donne e l’armado –quasi- segreto.

Non ci sono veri a propri passaggio tra i due mondi e o due piani: muoversi da un livello all’altro comporta esercizi di equilibrio non da poco: chi soffre di vertigini è fuori luogo. Inventiva, spavalderia, ironia e intraprendenza sono le caratteristiche di chi vuole tentare il passaggio tra i due mondi. Ed è così che Fenton (Carlos Moreno Pelizari) riesce a conquistare la giovane Nanetta (Herdis Anna Jonasdottir), incontrandola nel vestiboli, in camera, nell’armadio segreto e nel bosco. Grazie anche alla complicità della madre di Nanetta, Alice (Yitian Luan), riesce anche a sposare l’amato, in barba ai piani che, per lei, aveva il padre. Il caro Ford (James Bobby)  aveva previsto per la figlia le nozze con l’uomo più tedioso dell’universo, il Dr. Caius (Algirdas Drevinskas). Il malcapaitato sposa in effetti, nella confuzione, il fido aiutante di Falstaff, Bardolfo (Manuel Horras).

E Falstaff (Olafur Sigurdarson)? Falstaff rimane a mani vuote, perché? Perché, come  si canta nell’aria del finale (peraltro forse l’unica aria conosciuta) “Tutto nel mondo è burla. L’uom è nato burlone, La fede in cor gli ciurla, Gli ciurla la ragione. Tutti gabbati! Irride L’un l’altro ogni mortal.  Ma ride ben chi ride   La risata final.”

Ma rimane davvero a mani vuote? In questa rappresentazione, grazie anche ai costumi di Janina Ammon, Falstaff non è facile da dimenticare vista la sa portata e la sua mole non proprio trascurabile: che poi le strisce orizzontali non snelliscono non gli p certo di vantaggio. Anche nei costumi pervade la dualità; da un lato abbigliamenti moderni, colori decisi e neon, alternati alla sciatteria di Falstaff e compagni, all’arida eleganza di Ford e all’obsoleta classicità noiosa e superata del Dr. Caius, ce ne è davvero per tutti i gusti e più di una donna nel pubblico avrà desiderato avere quell’armadio in cui nascondere i vestiti o nascondersi con l’amante.

E, diciamolo sinceramente, chi non conosce un gruppo di amici vogliosi di prendere in giro gli altri o organizzare qualche scherzo? Un Verdi inusuale, meno serio e più incline lasciarsi travolgere dai giochi dei travestimenti, degli scherzi e dei giochi… senza lasciare morti.

Interpretazioni pulite, limpide con quel tocco in più: la passione  e il divertimento. E questo è quello che è arrivato al pubblico: Il mondo è una gran burla, prima ci si rende conto, meglio si vive.

 

Elisa Cutullè

 

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