(c) Hans van der Woerd
Da due anni, ormai, Markus Stenz è a capo della Radio Filharmonisch Orkest Hilversum. Al suo attivo ha, non solo innumerevoli concerti con l’orchestra, ma anche alcune registrazioni di sinfonie e opere, tra cui „Simplicius Simplicissimus“ del compositore tedesco Karl Amadeus Hartmann (1905-1963). Che dirigere per lui sia una passione salta all’occhio immediatamente, specialmente quando si ha la possibilità di assistere alle prove dei concerti.
Noi abbiamo lo abbiamo incontrato a Wiesbaden per chiedergli di condividere con noi la sua passione musicale.
Una storia che dura da tempo, tra te e la musica. Ma come è iniziata?
Avevo 6 anni quando ho iniziato a suonare il piano. È stato un processo naturale, quasi scontato, visto che la musica in casa nostra era il pane quotidiano. Mio padre, oltre ad essere in grado di suonare diversi strumenti, insegnava musica e dirigeva anche un coro mentre mia madre era una corista entusiasta. Normale quindi che si ascoltasse e si facesse molto musica. C’erano anni in cui dirigeva mio padre, io suonavo, mia madre cantava.
Il pianoforte come strumento lo hai scelto tu?
L’ho scelto io. Mio padre suonava l’organo e a casa avevamo un pianoforte a coda. Da quanto mi ricordo ero solito accovacciarmi sotto il pianoforte quando lo suonava mio padre perché volevo avere la massima esperienza sonora.
Quand’è che la passione si è trasformata in professione?
È stato poco dopo aver terminato la scuola. Ho deciso che diventare direttore d’orchestra sarebbe stata la mia vocazione. Così ho fatto domanda al conservatorio di Colonia e, successivamente, ho superato il test d’ammissione. Gli studi sono durati 4 anni. Non mi ricordo esattamente quando è stata la mia “prima volta” da direttore d’orchestra: c’erano i concerti organizzati dal conservatorio, ma quelli li considero parte dello studio. La butto là, perché risale a qualche anno fa: penso sia stata la “Spatzenmesse” di Mozart. Dato che conoscevo questo pezzo molto bene, posso dire che dirigerlo è stato, in un certo qual senso, proprio liberatorio.
Hai alle spalle un’importante carriera. C’è stato un pezzo che ti ha messo particolarmente alla prova?
Non solo uno. Nel corso degni anni ho scoperto del nuovo repertorio che, in un certo modo mi ha sempre messo alla prova. Dirigere per 4 serata consecutive Wagner o la messa di Haydn sono entrambe delle sfide, seppure diverse nella propria essenza.
Cosa dirigi più volentieri, opere o concerti?
Se la serata dell’opera va tutto bene allora è una serata perfetta: il soprano è in ottima forma, il tenore azzecca ogni nota, l’orchestra ha i tempi perfetti e tutto questo, assieme ai costumi e alla scenografia rendono giustizia all’opera messa in scena. Momenti si simile perfezione ci sono anche durante i concerti: quando la parte del solista incanta il pubblico o quando l’orchestra, nella sua unità, riesce a trasmettere la globalità della composizione.
Trovo che il bello dell’esibizione dal vivo è la bellezza del momento che nessun CD o DVD riesce a catturare.
Del repertorio finora diretto sono state le sinfonie di Mahler a darmi le emozioni più forti. Mi riferisco in particolar modo alla seconda e all’ottava sinfonia.
La tua carriera di direttore d’orchestra ti ha portato a lavorare in diverse nazioni tra cui Italia, Inghilterra, Stati Uniti, Germania e Olanda. Cosa evocano in te?
Innegabili le differenze culturali, ma quello che trovo più affascinante è al differenza che esiste, a volte, tra orchestre della stessa città che hanno uno stile, talvolta opposto o, comunque, molto diverso. L’orchestra rispecchia sia il carattere dei musicisti che la compongono che l’identità collettiva che la tradizione o i direttori vi hanno plasmato. In fin dei conti si tratta di persone che fanno musica per altre persone e che, come tutte le persone, sono soggette a diverse influenze. Ed io trovo affascinante scoprire queste diversità.
Quando dirigo, per esempio, un orchestra con cui non ho mai lavorato, sono molto curioso di sentire lo stile dell’orchestra. Penso che anche da parte dell’orchestra ci sia lo stesso atteggiamento di curiosità. La cosa più bella è quando l’intesa arriva spontanea e non c’è bisogno i parlare. Spontaneo, e desidero sottolinearlo, non significa automatico perché io, in qualità di direttore, ho la possibilità di dare indicazioni all’orchestra e spingerli in una determinata direzione, invitarli a dare di più o di meno.
L’età media dei componenti delle orchestre è alta, ma ci sono sempre più giovani leve. Come vedi i giovani in rapporto alla musica classica?
La musica classica, oltre che una solida formazione, fornisce un grande bagaglio di esperienza. Considero molto importante che i giovani vengano a contatto con la musica classica il prima possibile. Utili, in questo senso sono le accademie dell’orchestra. In questa mia attuale non ce ne è una, però molte orchestre ce l’hanno. E queste sono molto utili per capire come funziona un organo come l’orchestra.
Elisa Cutullè