I replicanti arrivano nel Saarland

Blade runner (c) Bjoern Hickmann(c) Bjoern Hickmann

Chi è cresciuto negli anni Ottanta ricorderà certo il film di Ridley Scott, The Blade Runner, che vedeva Harrison Ford nei panni del poliziotto Rick Deckard che in una Los Angeles del 2019 (a pochi anni da adesso, ahimè), si ritrovava a cacciare e cercare di riprendere dei replicanti evasi. Nonostante la critica all’inizio fosse divisa, nel 1993 è stato scelto per essere conservato nella Biblioteca del Congresso e nel 2007 rientra tra i 100 film più meritevoli degli ultimi 100 anni.

Sarà stato questo stato di peso mediatico e culturale ad affascinare Klaus Gehre? L’ex-studente di medicina, filosofia e letteratura da un lustro lavora come regista con focus su live-film abbinato al teatro. Le sue opere sono intese come vie di confine tra la creazione dell’opera e quello che sta dietro, come processi e limiti o possibilità tecniche. La storia, in questo contesto, si riduce a fungere da corollario, a passare in secondo piano.

Il suo ultimo lavoro presentato alla sparte4 di Saarbrücken il 27 marzo, si occupa e decostruisce uno dei capolavori sacri dei film di fantascienza : 5 attori e 4 telecamere trasmettono in tempo reale le rirese fatte.

Non esiste un palco, non esiste una scena: gli spettatori vengono quasi bombardati da informazioni e prospettive: devono rimanere attenti, voltarsi, immaginare e lasciarsi andare. I costumi di Freya John ripropongono l’immaginario dei primi film di fantascienza per taglio e colori, con dettagli però alquanto moderni e maliziosi, come gli stiletto ammiccanti di Nina Schopka, interprete della replicante Rachel.

Il poliziotto Deckard, interpretato da Andreas Anke, poco ha del giovane Harrison Ford: la sua presentazione e il suo atteggiamento sono un misto tra Kojak, Colombo e uno dei classici poliziotti delle serie tedesche. Robert Prinzler interpreta con naturalezza i ruoli di scienziato e replicante, mentre Gabriela Krestan e Marcel Bausch sono due replicanti a dir poco perfetti.

Protagonisti inaspettati e, sui generis, sono le Barbie e i Ken che fungono da commentatori e voci della coscienza e che, nei momenti più importanti prendono vita grazie alle voci dei protagonisti.

Lo spettatore si ritrova ad ascoltare i consigli della Barbie che legge Roland Barthes, a guardare macchine in scala che diventano mezzi di trasporto improbabili o case di bambole che ripropongono un set.

Cosa è vero, cosa è finto: non c’è distinzione tra realtà e finzione, tra tecnica e risultato. Ci si ritrova, senza esserne coscienti. In un universo parallelo in cui si assiste alla storia e, parallelamente si da uno sguardo dietro le quinte, quasi a monito che tutto ciò che si vede e in realtà finzione e solo mezzo atto allo scopo della realizzazione.

Eppure nulla stona, a parte qualche risata fuoriposto di qualche spettatore divertito o commenti di dissenso da parte di chi si aspettava una semplice trasposizione teatrale della storia.

La serata è un esempio di riuscita fusione tra cinema, teatro, tradizione innovazione che lascia, a chi ha assistito, il dubbio a voler verificare di non trovarsi in una matrice e la volontà di voler credere a ciò che si vede.

 

Elisa Cutullè

 

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