Le voci di dentro di Eduardo de Filippo, messa in scena da Toni Servillo, avrà la sua unica tappa in Germania a Saarbrücken, il 21 marzo, presso lo Staatstheater.
Il pezzo rappresenta il connubio tra il teatro popolare napoletano e il realismo critico con focus sulla potenza dell’immaginazione e del sogno, sull’avere o meno fiducia, sull’incertezza della realtà.
Il vicino, il migliore amico, il padre e il fratello sono criminali o è semplicemente tutto un’illusione? Eduardo de Filippo affermava che con appena cinque commedie fosse possibile rappresentare la storia umana: sarà questo il motivo per cui i suoi pezzi teatrali continuano ad essere messi in scena in tutto il mondo.
Abbiamo incontrato per voi Toni Servillo.
Ad appena 18 anni hai fondato il tuo primo studio teatrale. Come è nato l’amore per il teatro?
Sono cresciuto in una famiglia di spettatori e di grandi appassionati di teatro e di musica che mi hanno trasmesso questa passione. Ricordo con grande emozione le prime commedie di Eduardo De Filippo viste, con i miei genitori ed i miei fratelli, in teatro ed alla televisione. Ho cominciato nella seconda metà degli anni Settanta, ancora da studente , insieme ad altri coetanei, in una piccola città come Caserta, e non mi sono mai più fermato. Ripeto spesso che per me il teatro è concretezza: costringe chi lo pratica a mettersi a nudo davanti a se stesso, a confrontarsi con i desideri e le frustrazioni, le ambizioni e le sconfitte. Un esercizio che ogni giorno porta la sua pena e la sua gioia.
Attore o regista: in che modo vivi i due ruoli?
Non mi sento un camaleonte, quanto piuttosto un attore capace di mettersi al servizio degli autori, dei testi e dei personaggi, che a teatro posso scegliere personalmente. Con Mario Martone e con il compianto Antonio Neiwiller fondammo Teatri Uniti a Napoli nel 1987, unendo le esperienze di Falso Movimento, Teatro dei Mutamenti e Teatro Studio di Caserta, tre formazioni che avevano profondamente caratterizzato il panorama teatrale italiano ed internazionale degli anni Settanta. Da oltre venticinque anni con la mia compagnia mi confronto con drammaturgie classiche e contemporanee, andando in scena per diversi mesi all’anno in Italia e nel mondo. I risultati nascono dalla serietà e dalla passione con cui si affronta il lavoro.
Il tuo ruolo nel film LE CONSEGUENZE DELL’AMORE di Paolo Sorrentino la critica ha messo in evidenza il tuo minimalismo paragonandoti a Buster Keaton. Cosa ha significato per te?
È un paragone che mi onora, ma nei confronti di questo gigante mi sento un microbo. Ho cominciato da ragazzo con un gruppo di amici uniti soprattutto da una grande passione, un elemento che mi accompagna ancora oggi e che permette di reggere a tutte le rinunce e i sacrifici che, al di là delle grandi soddisfazioni, questo lavoro impone.
Hai impersonato nella trasposizione cinematografica di Gomorrah un boss della camorra dei rifiuti. Cosa pensi, da campano, del romanzo di Saviano e della sua descrizione dei lati meno piacevoli della capitale partenopea?
Spero che il nostro lavoro possa servire anche ad aumentare l’attenzione e a far partire l’indispensabile bonifica di un territorio, quello in cui io vivo, che ha subito un vero terremoto, stavolta ecologico, e che vengano messe all’angolo le coscienze di chi per realizzare profitti non ha esitato ad avvelenare i propri stessi figli.
Napoli e De Filippo: svelaci qualcosa su questo connubio.
In generale il mio lavoro si alimenta della ricchezza legata alla complessità di Napoli, che ha ancora la dimensione ideale di una città comunque viva rispetto a tante altre città dormitorio. Mi sento profondamente legato ad Eduardo, il più straordinario e forse l’ultimo rappresentante di una drammaturgia contemporanea popolare. Non è stato solo il più grande attore italiano del suo tempo ma anche uno straordinario esempio di moralità e dedizione, è questo è ancor oggi molto importante per il nostro paese. È l’autore italiano che con maggior efficacia, all’interno del suo meccanismo drammaturgico, favorisce l’incontro e non la separazione tra testo e messa in scena. Affrontare le sue opere significa insinuarsi in quell’equilibrio instabile tra scrittura e oralità che rende ambiguo e sempre sorprendente il suo teatro.
Come è nata la decisione di andare in tournee all’estero con LE VOCI DENTRO?
Direi soprattutto per una virtuosa sinergia produttiva che per questo spettacolo ha unito Teatri Uniti, la mia compagnia, al Piccolo Teatro di Milano così da rendere possibile anche per questo spettacolo, così come in precedenza era accaduto per la goldoniana “Trilogia della villeggiatura” una tournèe che, ormai, si attesta sulle complessive 350 repliche. Abbiamo debuttato, a marzo del 2013 a Marsiglia, poi su tanti palcoscenici italiani come il Piccolo a Milano, l’Argentina a Roma, ed ancora a Chicago, Girona, San Pietroburgo, Parigi, Madrid, Barcellona, e a Londra al Barbican, dove un allestimento italiano mancava da moltissimi anni. Eduardo De Filippo è molto amato dal pubblico ma la cosa che mi fa più piacere è che si accelera, si conferma, si sancisce una conoscenza già lunga di questo grandissimo drammaturgo in Europa e nel mondo identificandolo come un grande del Novecento che non a caso gli stranieri associano al teatro di Beckett, Pinter, Ionesco, e alle grandi correnti del teatro del novecento.
Elisa Cutullè