Un animo europeo- Incontro con Mickael Spadaccini

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Abbiamo incontrato per voi Mickael, il giovane tenore che ha calcato già diverse scene internazionali e che per lo Staatstheater di Saarbrücken ha interpretato i ruoli principali in opere di Nino Rota, Berlioz e Offenbach.

Nato in Belgio da genitori italiani (padre di Perugia e madre di Chieti) è cresciuto a Charleroi con il desiderio di diventare pilota d’aereo o medico, finché non scopre l’amore reciproco per la musica. Inizia la carriera molto giovane, a 21 anni, studiando con Bergonzi, Freni e Martinucci.

Quale è il tuo rapporto con l’Italia e con le due regioni di provenienza dei tuoi genitori?

Purtroppo, a parte le vacanze, non c’è nulla che mi lega a queste due regioni. Per quanto riguarda l’Italia io la considero il mio paese. Quando mi esibisco sui palchi italiani mi sento a casa mia. Questo per quanto riguarda la mia percezione personale. Per noi Italiani di seconda generazione il concetto di appartenenza è un concetto difficile: in Italia non vengo considerato un italiano e in Belgio non vengo considerato un belga. Sono sempre quasi, diciamo un Europeo.

Il mio cuore però è italiano. Da piccolo ho vissuto molto con i miei nonni che erano molto attaccati all’Italia e guardavano molto la TV italiana. Il mio primo approccio con l’Italiano è stato attraverso le trasmissioni della RAI e poi ho continuato i miei studi in Italia. Non è stata, all’inizio, una decisione cosciente di imparare la lingua: ero piuttosto come una spugna che assorbiva quello che ascoltava: l’italiano dalla TV e il dialetto abruzzese francesizzato dei nonni.

 

Quando è nato l’amore per la musica?

La mia storia è strana.

Fino a 16 anni avevo un certo ribrezzo verso la musica: non mi piaceva ascoltare la musica in pubblico e cercavo sempre di sentirla quando non mi vedeva nessuno. Ero un adolescente normale: né bello né brutto, né superintelligente né stupido, né una schiappa né un supersportivo. Questa normalità della mia esistenza la percepivo come deprimente, perché volevo distinguermi.

Avevo 17 anni quando ho visto per la prima volta Il flauto magico di Mozart a Charleroi e le l’ho trovato stupendo.

Ed è stata la musica che mi ha permesso di distinguermi. Mio padre ascoltava molta musica classica e diverse operette. Una volta, tanto per ridere, ho imitato alcune canzoni di Luis Mariano e Andrea Bocelli e mi sono reso conto dello strumento vocale che avevo. Così da un tipo normale sono diventato un tipo che aveva un certo non so che in più. Da lì è nata la voglia di studiare e di formarmi. Per prima cosa ho partecipato ad un’audizione per entrare nel Conservatorio di Charleroi presentando l’unico pezzo che sapevo veramente bene “Torna a Surriento”. L’audizione è andata benissimo (ho ricevuto gli applausi di tutti gli altri candidati nonché dei maestri) e non ho avuto fatica a trovare un maestro.

I miei genitori mi hanno sempre supportato in questa passione perché si sono resi conto di cosa significasse per me. Quando sono stato la prima volta da Bergonzi, non avevo idea di chi fosse. Sapevo solo che le sue lezioni erano molto care e io non potevo permettermele. È stato Bergonzi a richiamarmi per 4 mesi ho avuto lezioni gratuite. Tuttavia non ero preparato al rigore di questa formazione per cui, dopo un po’ mollai perché ero una testa calda. In testa avevo le ragazze e cantare era un bonus che mi serviva a conquistare le donne.

Mi sono poi reso conto che, provando una settimana a non cantare, mi sentivo male: mi sono resa conto che la musica era parte della mia vita. Quindi ho ricominciato a studiare e, tre anni, prima che Bergonzi morisse, sono tornato da lui poco prima che morisse e l’ho visto felice per me e la mia carriera. Penso che il suo apprezzamento manifesto sia stato, nel mio subconscio, una delle molle che mi ha fatto andare avanti, perché mi ha fatto capire che la musica ricambiava il mio amore.

 

A quando risale il tuo “ruolo ufficiale” sul palco?

A 17 anni ero già nel coro dell’Opera di Liegi. Ero contento di trovarmi in scena ma non capivo la portata dell’evento, forse perché ero un corista e facevo quello che mi dicevano. La mia “prima volta” da solista invece è stata a Bessançon in Francia, con l’interpretazione di Pinkteron nella Madama Butterfly. Mi ricordo di essere stato chiamato all’ultimo momento per cui ho dovuto imparare la parte in un mese appena. Considerando poi che non sapevo leggere la musica, il tutto era ancora più complicato. Idem per il palcoscenico: mi sono ritrovato in scena senza aver mai preso lezioni di recitazione. Ma il direttore aveva molta fiducia in me e mi spingeva dicendomi che era l’inizio e che tutti dovevamo passarci.

Dopo questo ruolo ho interpretato Don Jose a Cremona e Como ad appena 22 anni. Successivamente sono stato al Teatro Regio di Parma per il Nabucco sotto la direzione di Abbado figlio. Ero tra un cast di stelle che mi hanno accolto molto bene, senza allure di star.

 

Quale ruolo, che hai interpretato finora ti ha soddisfatto maggiormente a livello di artista?

Ancora non ho dato tutto me stesso in un ruolo, anche se ho sempre dato il massimo. Penso che un artista non riesca a mai a dare tutto se stesso anche perché, dopo ogni ruolo si cambia e si matura per cui cambiano i termini di paragone e di misura. Ho interpretato finora quasi 30 ruoli che sono stati tutti diversi tra di loro.

A livello di autori/compositori adoro Rossini e Puccini, mi trovo bene con la musica italiana e meno a mio agio con i compositori tedeschi, perché trovo la lingua difficile. Mi viene facile cantare in francese, ma il repertorio francese è un repertorio leggero.

Quando ho una nuova parte, prima mi guardo/ascolto l’opera, mi leggo il libretto, la tipologia del personaggio e poi si inizia a studiare musicalmente la parte con il pianista o da soli e solo dopo nasce il personaggio, perché solo allora sei in grado di diventare il personaggio anche a livello interpretativo. Ammetto, però, che non mi piacciono messe in scena troppo azzardate di un’opera che ne capovolgono le strutture. Lo vedo come oltraggio l’opera stessa. Ciò non significa che io sia completamente contro le nuove interpretazioni, ma la musica deve essere rispettata. La bravura di un regista si vede nel riuscire a dare un tocco particolare all’opera senza stravolgerne la struttura.

Progetti?

Tanti a Vilnius, Brno, Bordeaux e altre location che ancora non posso svelare. Sarà un bel 2015.

Elisa Cutullè

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