Una serata “difficile” anche se emozionante quella che il 60^ Festival Pucciniano ha proposto al pubblico del granteatro G.Puccini di Torre del Lago (LU).
Torna infatti dopo otto anni, questa volta con testo italiano (di Ermanno Arienti), l’opera Junior Butterfly ideale seguito della più celebre Madama Butterfly di Puccini. Il libretto di Masahiko Shimada ci propone le vicende del figlio di Pinkerton e Ciò Ciò San di stanza in Giappone su incarico del governo americano alla vigilia del secondo conflitto mondiale che, con Pearl Harbour, vedrà l’entrata in guerra dell’America contro il Giappone. J.Buttefly è innamorato della nipponica Naomi che, nonostante il parere contrario del fratello di lei, il tenente Noda, sposa e dalla quale avrà un figlio, Chame. Due mesi dopo la tragedia dell’atomica su Nagasaki, J.B. finalmente libero dal campo di prigionia dove era stato rinchiuso, va alla ricerca di sua moglie e duo figlio che si erano rifugiati in quella città in attesa di lui. In una chiesa chiede ad una suora notizie dei suoi cari: là aveva trascorso i suoi ultimi giorni la fedele Suzuki dopo la morte di Butterfly e prima di morire, certa di un ritorno del giovane Pinkerton alla ricerca delle sue radici, aveva affidato alla suora il pugnale con il quale la giovane si era suicidato affinchè fosse dato al ragazzo. Ma in quel luogo giace anche, morente per le radiazioni della bomba, Naomi mentre il piccolo Chame sembra essere passato indenne da quella tragedia. La morte dell’amata porta J.B. a un passo dal suicidio ma l’arrivi del bambino lo distoglierà da quel gesto come invece non era accaduto per la madre.
Fin qui la storia, ovvero quella trama che contraddistingue ogni opera: dentro e all’intorno un infinito mondo di sensazioni, sottintesi, messaggi politici, sociali, umani e religiosi. Come accade ancora in un popolo la cui cultura ha linguaggi misterici e traslati, questo libretto dice molto di più di quanto dica la storia. Shimada costruisce un intreccio di messaggi tra i quali, non ultimo, quell’antiamericanismo che non è solo retaggio di quei giorni lontani, pure difficili da dimenticare, ma critica a ciò che l’America significa in termini di “vizi” e ” logiche consumistiche. Non a caso il librettista inserisce la figura del cinico maggiore McCallum, per molti versi “fotocopia” di Benjamin F. Pinkerton, nella sua arroganza e nella convinzione di un primato culturale, sociale e politico dell’America su qualsiasi altro popolo, Giappone compreso. “…stile americano questo:dall’altra parte del mondo osservare le guerre, e poi godere da lontano il lucro, la felicità, pregustare i piaceri. Soldi, soldi, soldi…” dice con malcelato disprezzo a J.B.
Inutili i tentativi di J.B. di ricondurlo alla ragione: “…Chi ha spinto questo paese sull’orlo della crisi? L’America! (…) Sui cadaveri viene costruita la nostra felicità. Dobbiamo spezzare queste maledette catene…”.
E per J.B. sono molte le catene che lo avvincono, a partire dalla sua origine “ibrida”: “Ma è vero che che tu hai preso sangue asiatico nelle vene! Non sentirti in debito verso i Jap. Pensa alla felicità di essereamericano” gli dice sarcastico McCallum. “Guarda la mia faccia! Non sono Jap nè Yankee. Ma un ibrido umore io sono…” gli risponde con un velo di amarezza.
Ibrido… Chissà come sarà stata la sua vita in quel “bel paese” che la madre avrebbe volentieri conosciuto a fianco del suo sposo americano? Chissà cosa avranno pensato di lui i vicini, i compagni di scuola e di giochi, i suoi colleghi… E forse, non diversamente sarà stato per lui il tornare, da adulto, nei luoghi natii: guardato con sospetto per questa duplice identità che non si perdona: “la fiamma del fuoco non può innamorarsi del ghiaccio” dice Noda alla sorella Naomi parlando di J.B.
Già, straniero in America come in Giappone, figlio di uno Yankee e di una geisha, J.B. è alla ricerca delle sue radici interiori, quelle che vanno oltre la geografia e la politica: l’America dove è vissuto non gli spiega certo moti dell’animo, quel senso di inquietudine che lo assale di fronte ad una società spregiudicata e utilitaristica; il Giappone dove è stato mandato, gli rimanda segnali che deve imparare a decodificare. L’amore per Naomi lo rimanda a lontani sentimenti forse appartenuti anche al padre, ma troppo fragili per reggere la pressione di un americanismo oltranzista e brutale: “…la vita non appaga se non fa suo tesor le stelle di ogni cielo, i fiori di ogni plaga, d’ogni bella gli amor (…) America for ever!” diceva Pinkerton senior nell’opera pucciniana. Per lui no, di questo ne ha certezza: “più dell’America, sempre ti amerò (…) formiamo la nostra casa dentro i nostri cuori” dice a Naomi.
Naomi, una Butterfly più fortunata almeno nella scelta del compagno; una ragazza determinata a difendere i propri sentimenti proprio come la più illustre eroina:” …proprio perchè il futuro è spietato, ha più senso la nostra forte unione…” dirà al fratello che intende scoraggiarla da proseguire la sua relazione con J.B. E ancora: ” ai sogni grigi ci sono avvezza. Anche se il destino si burlerà di noi, non mi lamenterò mai…”
Un personaggio che ben scolpisce Shimada nel suo libretto e che si fa degna compagna di quel J.B. distante dal suo genitore ma fragile nella sua identità duplice e conflittuale. E la sua morte ingiusta come ingiusta è la morte di quelle milioni di vittime dell’arroganza di politici e militari senza scrupoli, sarà preceduta da parole di pace oltre che d’amore: “…il nostro amore, come l’onda che lava le rive delle spiagge, (…) acarezzerà i furori e le ire di questo pianeta”
Ma prima di concludere questa disamina, due personaggi meritano ancora la nostra attenzione: Suzuki e il Poeta.
Della prima va detto che la stessa dedizione, lo stesso incondizionato amore che avevamo trovato nell’opera pucciniano è presente anche in questa: ogni parola da lei pronunciata è densa di un sentimento profondo e assoluto. “Sono sicura che lui (J.B) adesso si è fatto uomo, presto tornerà a prendere i ricordi di sua madre. Ed io mi terrò stretta al mio guanciale fino all’ultimo respiro lo aspetterò. Voglio raccontargli perché e con che animo Ciò ciò san si tolse la vita. Gli voglio dire quali fossero i desideri che nutriva per lui…” dice alla suora della chiesa dove è ospitata.
Stefano Mecenate