Abbiamo incontrato Carlo Montanaro, che ha diretto l’Elisir d’amore all’Opera di Monaco di Baviera. Iniziata la sua carriera musicale nel 1991 come violinista nel maggio Musicale Fiorentino, decide, mentre studia al Conservatorio di Vienna, di intraprendere la carriera di Direttore d’Orchestra, specializzandosi su composizioni italiane. Nella stagione 2013/2014 ha diretto a Monaco di Baviera, la Carmen, la Tosca e L’Elisir d’amore.
In un teatro, come questo, patria dello spirito germanico in nuce, cosa significa dirigere un melodramma giocoso italiano?
Abbiamo la fortuna di parlare un linguaggio internazionale che è la musica per cui quando una sa cosa vuole e come vuole ottenerlo i musicisti rispondono. A Monaco non è difficile: un grande teatro, una grande orchestra e un grandissimo coro.
Come è nata la collaborazione con la Germania?
Diciamo che grazie al mio maestro Zubin Mehta che ha lavorato diverse volte a Monaco di baviera. Si è presentata l’occasione per dirigere e l’ho presa al volo.
Il primo pezzo che ho diretto è stata La Traviata, con una grande orchestra ed estremamente professionale.
Quello che apprezzo della Germania è la grande versatilità. Con l’Elisir d’amore, per esempio, ho avuto diverse orchestre nelle diverse rappresentazioni. È una cosa all’ordine del giorno per i tedeschi, con cambi di solisti (primo fagotto e primo flauto), ma sempre perfettamente affiatati.
In cosa differisce il panorama musicale tedesco dall’Italia?
Le differenze sono chiare e legate in primis alla lingua. Il popolo italiano è un popolo che parla cantando, che è molto incline alla musicalità. La lingua tedesca è più strutturata. Entrambe però si prestano molto bene alla musica, seppure con diversi stili musicali.
Le partiture contengono tutte le note e le sfumature necessarie per cui non conoscono confini di lingua o cultura. Penso però che, per esempio, un Walzer Viennese suonato da un’orchestra viennese e uno suonato da un’orchestra non germanica possano presentare lievi differenze. Non direi però che queste differenze sono dovute alla musica, bensì alla relazione tra il musicista e la cultura legata al pezzo.
Lei si è specializzato in opere italiane: come è mai questa direzione?
Suono e dirigo musica non solo italiana (francese, tedesca, spagnola) e posso vantare di aver, fortunatamente, un repertorio molto vasto, anche sinfonico. Ma, direi, che su Puccini, Verdi e Rossini non di discute. Una Turandot o una Tosca valgono bene una passione.
Se potesse descrivere il pubblico tedesco, quali termini sceglierebbe?
Penso che allo spettacolo si sia visto che il pubblico ha molto apprezzato quello che abbiamo fatto. Se si pensa che lo spettacolo è stato messo senza aver fatto prove. Alla prima siamo andati in scena senza prove. Ci siamo visti qualche giorno prima con i cantanti per verificare i movimenti sul palcoscenico. Quando il tutto funziona e si riescono a dare emozioni il pubblico risponde. Ogni giorno è una nuova sorpresa, perché a volte il pubblico è più critico e a volte meno critico. Se un artista sul palco è vero, e sa trasmettere emozioni al pubblico, non esistono differenze culturali nel pubblico che tengano.
Elisa Cutullè