Il cinema che visse due volte

 

Da una delle voci più alte e originali della letteratura tedesca contemporanea, una dichiarazione d’amore alla magia del cinema e un poetico atto di resistenza al suo tramonto.

«Mozi» recita l’insegna di un edificio abbandonato in un paesino dell’Ungheria. Significa «cinema» e cattura lo sguardo della narratrice di questa storia. Straniera in viaggio nella vasta piana ungherese, che appare come una terra incantata di orizzonti infiniti e nostalgia, non resiste all’impulso di comprare il cinema in disuso che è stato un tempo il centro vitale del villaggio. E ricostruendo la storia romantica e leggendaria dell’uomo che lo aprì nel dopoguerra, lo rimette in funzione con l’aiuto di personaggi degni dell’impresa donchisciottesca, come Józsi, l’ex proiezionista ora meccanico di biciclette, e la moglie Ljuba, che di lui  si innamorò quando un fulmine interruppe la proiezione del suo film preferito.

Esther KINSKY

Narratrice, poetessa e traduttrice, è una delle voci più alte e originali della scena letteraria tedesca, più volte candidata al Deutscher Buchpreis e insignita dei più prestigiosi riconoscimenti, come il Premio della Fiera di Lipsia, il Premio Paul Celan e il premio Adelbert von Chamisso. La sua opera, spesso paragonata a quella di W.G. Sebald, si distingue per la maestria narrativa con cui indaga l’esperienza umana dei luoghi, la memoria e il ricordo. Dopo Macchia e Sul fiume (Il Saggiatore, 2019 e 2021), con il romanzo Rombo (Iperborea 2023) ha ricevuto il Premio Kleist ed è stata candidata al Premio Strega Europeo.

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